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Andreas Köpke, a muso duro

Il portiere incapace di sorridere, ma fenomenale tra i pali. Che ha dovuto attendere di compiere 35 anni per vivere, finalmente, il proprio momento di gloria.
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Andreas Köpke - Illustrazione Tacchetti di Provincia

Esiste un momento cruciale nella vita di ciascun portiere, e solitamente capita quando il soggetto in questione ha già passato i 30 anni. Un bivio, due strade che si biforcano. Dove: se ti sei allenato e gestito bene, se hai condotto uno stile di vita sano e, soprattutto, se hai talento arrivi al culmine della maturità, pronto a giocare i tuoi anni migliori; se invece sei un mediocre, inizia una inesorabile parabola discendente che conduce dritto fino al chiodo, dove presto o tardi sarai costretto ad appendere i tanto amati guanti.

La fortuna di chi sceglie, un giorno, di voltare definitivamente le spalle alla porta è quella, infatti, di poter godere di una carriera più lunga rispetto a un giocatore di movimento. Ma, come detto, prima ci devi mettere tanto di tuo.

Andreas Köpke ce ne ha messo tantissimo di suo prima del 1996. Anno in cui, dopo 34 anni di vita trascorsi praticamente senza vincere nulla, il Calcio ha deciso di sorridergli. Cosa non facile da fare a uno quasi incapace di sorridere come lui.

Ha dovuto attendere Euro ’96 prima di vedere il proprio muso duro, col quale ha affrontato tutte le tappe della propria carriera, finalmente in prima pagina. A festeggiare, ovviamente a modo suo, un titolo di campione d’Europa da protagonista assoluto (miglior portiere della competizione).

Cogliendo il primo vero successo della propria carriera a un’età in cui quasi tutti, invece, stanno cercando di capire cosa fare da grandi

Köpke e altri 10

A guardare il palmares qualcuno potrebbe accusarci di essere stati troppo duri con il buon Köpke, che vanta infatti anche il titolo di campione del mondo del 1990. Un successo però arrivato con la Nazionale tedesca senza mai nemmeno annusare il profumo dell’erba, lasciando a Bodo Illgner onori e gloria.

Quell’anno Köpke figura effettivamente tra i convocati del CT Beckenbauer per la spedizione di Italia ’90, insieme al terzo portiere Aumann, guardiano dei pali del Bayern Monaco. Ma nelle idee di Kaiser Franz per competere a certi livelli non è conveniente puntare su un portiere abituato al continuo roller coaster del suo Hertha Berlino, abile nello scoprirlo, anni prima, quando Andreas vestiva la maglia del piccolo Charlottenburg.

Anche a Usa ’94 le gerarchie per difendere i pali della Germania non cambiano. Ma la spedizione si rivelerà ben più avara di successi per i teutonici, eliminati ai quarti di finale dalla sorprendente Bulgaria.

Ma nel frattempo Köpke ha lavorato, tanto. Per crescere, migliorare, mascherare i suoi soli 182 centimetri d’altezza  e per magari anche ambire alla maglia di una big. Anche per esorcizzare una maledizione che lo vuole retrocesso per ben due stagioni di fila, prima con il suo Hertha e poi pure con la maglia dell’ambizioso Eintracht di Francoforte.

È al termine di quest’ultima debacle che Andreas, con mirabile umiltà, decide di provare a rifare tutto da capo. Rimanendo in Zweite Bundesliga rinnovando il contratto con i rossoneri, che falliranno oltretutto miseramente nell’obiettivo dell’immediata risalita.

Una scelta coraggiosa, più unica che rara. Ma tale anche, secondo molti, da chiudergli per sempre le porte della Nazionale (considerando anche che Bodo Illgner, nel frattempo, ha firmato nientemeno che per il Real Madrid).

Ma quando Berti Vogts pensa alla propria Mannschaft che si appresta a volare nella patria del calcio per disputare l’Europeo inglese dell’estate del 1996, la sua idea è chiara e precisa: “Köpke e altri 10”.

Euro 96

È vero: sottovalutare i tedeschi è un errore che non andrebbe mai commesso, nello sport come in generale nella vita.

Ma forse nemmeno al più ottimista dei tifosi germanici sarebbe balenata l’idea di vincere quell’Europeo, con una squadra che a molti appare a fine ciclo.

Perché sì, sta crescendo una nuova generazione di talenti, come i vari Babbel, Worns, Ziege, Hamann e Bobic. Ma in rosa ci sono anche elementi che paiono aver già messo in vetrina il meglio del proprio repertorio, come l’ultratrentenne Klinsmann o il veterano ex Juventus Kohler. E come, alla fine, lo stesso Köpke, che si presenta all’inizio della competizione con 35 primavere sulle spalle.

Ma per capire quanto il portiere dell’Eintracht sia stato decisivo in quella competizione vi basterà chiedere al buon Gianfranco Zola, che si vede respingere da lui un calcio di rigore dopo 9 minuti di gioco, mandando in frantumi non solo la partita, ma tutto il torneo degli Azzurri, decretando la fine dell’era-Sacchi in Nazionale.

Le parate di Köpke erano state decisive anche prima, nelle vittorie contro Repubblica Ceca (primo round) e Russia, che consentono alla nazionale di Vogts di chiudere al primo posto il proprio girone. Lo saranno anche dopo, quando i tedeschi, nel percorso, riusciranno a mettere fuori gioco anche il Portogallo e i padroni di casa dell’Inghilterra, al termine di una battaglia storica (tanto da rievocare rivalità oramai sopite) conclusasi ai calci di rigore, con parata decisiva dello stesso Köpke, abile nel neutralizzare dagli 11 metri l’attuale CT dei Tre Leoni Gareth Southgate.

Altrettanto epica sarà la finale. Una gara diretta dal nostro Pairetto, dove i teutonici si trovano di fronte la miglior Repubblica Ceca della storia, costretti a combattere colpo su colpo contro gli assatanati avversari, che giustamente fiutano l’irrepetibilità del momento. Poi l’epilogo che tutti ormai conosciamo: il golden gol, il primo nella storia del calcio, del Panzer Oliver Bierhoff e il trionfo tedesco.

L’ennesimo titolo per una delle nazionali con miglior continuità di rendimento nella storia del calcio. Il primo per Köpke dopo 35 anni di attesa, al di là di quel Mondiale vinto da spettatore non pagante.

Una seconda giovinezza

Al termine del torneo Andreas sceglie di cedere al flirt di uno dei tanti club interessati a lui e di emigrare a Marsiglia. Due anni in un club che, beffardamente, inzierà a fare sul serio non appena lui andrà via, con la finale di Coppa Uefa del 1999 persa contro uno straordinario Parma.

Quindi il ritorno in Germania per la precisione a Norimberga. Per continuare a vivere una seconda giovinezza sbocciata all’improvviso (ma neanche così tanto), ripartendo nuovamente dalla Zweite Bundesliga. E per disseminare ulteriormente il calcio di altri mancati sorrisi, per riempirlo poi con musi duri epici, ora poi che sono pure solcati dai segni dell’età.

Sfiorando solamente una promozione che arriverà però l’anno successivo, un attimo prima che Andreas si ritrovi al passo d’addio, pronto ad appendere al chiodo quei guanti amici di una vita.

Quando annuncia il ritiro Köpke lo fa a suo modo: in sordina, senza proclami né tantomeno celebrazioni. Uno stop definitivo, ma utile per voltarsi indietro un’ultima volta, e scoprire di essere stato uno dei 20 più forti portieri della storia.

Per poi rivoltarsi di nuovo avanti, verso nuovi traguardi (con gli incarichi federali e la conduzione dei portieri della Nazionale). Senza mai cambiare quel “muso duro” che oramai, prima di Kahn, lo hanno reso iconico e inconfondibile.

Racconto a cura di Fabio Megiorin

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