Domenico Tedesco, una furia di ingegnere
Avanti di questo passo rischiamo di ritrovarci, magari tra 15 o 20 anni, a domandarci come abbia fatto un Belgio così forte a non vincere un bel niente. Stessa cosa che ci succede oggi pensando all’Inghilterra del centrocampo Beckham-Scholes-Gerrard-Lampard, all’Olanda del Calcio Totale di Rinus Michels oppure ancora all’Italia di fine anni ’90, con in campo Roby Baggio, Maldini e Vieri al top della forma e le squadre di club intente a dominare l’Europa in lungo e in largo.
Una generazione di fenomeni è già andata persa. Con Hazard, Kompany, Mertens e via dicendo la nazionale fiamminga non è andata oltre un terzo posto nel Mondiale del 2018. Ora ce n’è un’altra, forse ancora più forte, ma bisogna fare presto. Perché i 30 anni ragazzi come Courtois, De Bruyne e Lukaku li hanno già compiuti. Dunque, il tempo stringe.
Per risolvere questo dilemma le Furie Rosse si sono rivolte a uno specialista, affidando il proprio progetto di vittoria a un ingegnere. Sì, un ingegnere gestionale in carne ed ossa, con tanto di master in gestione dell’innovazione.
Figlio della Calabria, in quanto nato a Rossano e cresciuto a Bocchigliero, e trasferitosi poi per affari di famiglia in Germania, quasi a legittimare il proprio cognome. Impiegato in Mercedes e apprendista allenatore allo stesso tempo, prima che bravura ed eventi coincidenti lo facessero propendere per la seconda carriera, a discapito della prima.
Il Belgio ha affidato le proprie speranze di vittoria alle mani e alla mente di Domenico Tedesco. Sarà lui, nei prossimi Europei, a dover provare ad evitarci l’imbarazzo di porci, tra qualche anno, la solita domanda: come hanno fatto a non vincere niente?
Un calabrese a Stoccarda
Aichwald è un piccolo comune della periferia di Stoccarda di neanche 8mila abitanti. È qui che la famiglia Tedesco si stabilisce alla fine degli anni ‘80. Ed è qui che il figlio maschio Domenico inizia a destreggiarsi nel mondo del calcio, dapprima come giocatore, senza mai sfondare definitivamente né tantomeno riuscire ad arrivare al professionismo, poi come assistente allenatore. Decisamente più apprezzate le sue qualità in questa seconda veste, tanto da meritarsi la chiamata dello Stoccarda, che, così come l’Hoffenheim qualche anno più tardi, gli affida la guida di una squadra giovanile del club.
Ciò che ai dirigenti piace, di Domenico, è la sua propensione a lavorare con i giovani e la capacità di modulare il proprio sistema di gioco in base al materiale umano a disposizione. Insegna calcio, non lo impone. E con lui alla guida i ragazzi si divertono.
Bravo, ma guidare una prima squadra è tutta un’altra cosa.
Per mettersi alla prova allora Domenico, nel marzo del 2017, accetta la chiamata dell’impronunciabile Ezgebirge Aue, squadra di Zweite Bundesliga (la nostra Serie B) oramai a un passo dall’amara retrocessione.
All’epoca mister Tedesco ha appena 32 anni, alcuni giocatori presenti in rosa sono addirittura più anziani di lui. In pochi scommetterebbero nell’impresa. E invece… Al termine del campionato l’Aue è quattordicesimo in classifica, e dunque salvo aritmeticamente.
Dal suo arrivo la squadra ha ripreso coraggio e ha cambiato radicalmente modo di giocare, attuando una difesa alta condita da pressing che ricorda molto il Borussia Dortmund di Jurgen Klopp. Che in quel momento si trova già a Liverpool, per cominciare a costruire la propria leggenda sotto il cielo di Anfield. Ma che in Germania ha portato una ventata d’aria fresca, ponendo fine al dominio del Bayern e costringendo i tedeschi a pensare ad un calcio differente da quello a cui erano abituati.
E che soprattutto, in Bundesliga, ha lasciato un’eredità pesante, che ora qualcuno deve avere il coraggio di raccogliere. Il 9 giugno 2017 lo Schalke 04, nobile decaduta del calcio germanico, comunica ufficialmente l’ingaggio di Domenico Tedesco come nuovo allenatore.
Laptop trainer o no?
Mehmet Scholl, ex leggenda del Bayern Monaco, li definisce, senza troppi complimenti, “latpop trainer”. Sono quegli allenatori, come Tuchel, Nagelsmann o lo stesso Tedesco, che non hanno alle proprie spalle un passato glorioso da calciatori professionisti. Ma che a furia di studiare ed aggiornarsi ora sono pronti ad affacciarsi al grande calcio, con la presunzione di portarvici idee nuove e metodi differenti.
La rivoluzione tecnico-tattica operata a Gelsenkirchen da mister Tedesco, però, convince anche uno scettico come Scholl. Dopo anni in Germania si torna a vedere una squadra giocare stabilmente con la difesa a 3. Solo che è finito il tempo del libero alla Beckenbauer: i 3 dietro giocano in linea, e pure piuttosto alti, e con l’abbassamento in fase difensiva dei due esterni la linea è spesso a 5. A centrocampo Goretzka è bravo a fare un po' di tutto. Davanti, in assenza di fenomeni, ci si accontenta del Burgstaller di turno (13 gol, a fine stagione, per il panzer austriaco).
Ma più che il talento dei singoli, ciò che impressione dello Schalke è l’organizzazione di gioco, e la convinzione con cui i giocatori in campo interpretano pedissequamente il volere dell’allenatore. Si capisce subito che i Minatori saranno sicuramente la sorpresa di quella Bundesliga. Certo, il Bayern è ancora troppo forte (finirà primo con 21 punti di vantaggio, ingiocabile), ma subito dietro i bavaresi in classifica ecco Goretzka e compagni, che conquistano così la qualificazione alla Coppa dei Campioni, oltre ad uscire in semifinale di Coppa di Germania in una pazza partita contro l’Eintracht di Francoforte.
L’anno seguente la squadra, poco rinforzata, paga lo scotto del doppio impegno. In campionato arriva un magrissimo 14esimo posto, in Champions, dopo il superamento della comunque insidiosa fase a gironi, i ragazzi di mister Tedesco vengono letteralmente spazzati via dal Manchester City: 7-0 al ritorno, dopo il 2-3, sempre per gli inglesi, dell’andata.
In un delirio di pura onnipotenza il club, a marzo del 2019, esonera mister Domenico per richiamare in panchina il vecchio lupo di mare Huub Stevens. Che non riuscirà, tuttavia, ad invertire la rotta di un club, andato l’anno precedente oltre ogni aspettativa (in inglese si dice “over-performing”)
La gioia della RedBull
Il nome dell’allenatore calabrese, allora quasi sconosciuto, arriva quindi anche in Italia, con diverse squadre che manifestano interesse per la sua idea di calcio. E, in un mondo di aspiranti Guardiola, anche la sua giovane età fa gola ai più.
L’unica chance seria, tuttavia, oltre a una bella infarinata di milioni sul conto, gliela offre lo Spartak Mosca, precipitato anche in patria in un insolito anonimato.
Mister Tedesco raccoglie il club al decimo posto in classifica, rendendolo, l’anno successivo, la seconda forza del campionato dietro al più ricco Zenit di San Pietroburgo.
Ma con l’avvento della pandemia, Domenico si accorge di essere troppo distante dalla moglie e dalla figlia, di appena 4 anni, e decide così di lasciare la Russia per provare a riavvicinarsi a casa. Che oggi come allora è, inevitabilmente, diventata la Germania.
Al suo ritorno in patria trova il Lipsia pronto ad aspettarlo. Uno dei club allo stesso tempo più ricchi, ambiziosi e odiati della nazione, dopo l’ingresso nell’universo Red Bull che ha ricoperto di milioni un club, fino a quel momento, piuttosto mediocre. Ma per Tedesco è il posto perfetto dove poter lavorare: al Lipsia si pensa a far crescere i giovani, per poi rivenderli nel mercato europeo a cifre mostruose. Se poi si azzecca la generazione di fenomeni, allora si prova anche a vincere.
In Sassonia Domenico cambia impianto di gioco, confermando la propria versatilità. Il centro di gravità permanente è il centrocampista sloveno Kampl, l’uomo designato ad iniziare da dietro l’azione. Sulla sinistra briglie sciolte per lo spagnolo Angelino, spesso esentato anche da compiti difensivi. Davanti ampio spazio alla fantasia, con Forsberg, Dani Olmo, Nkunku e Andre Silva tutti in campo appassionatamente.
La vittoria della Bundesliga, in costanza di Bayern Monaco, rimane un’utopia. Ma il Lipsia di Tedesco riesce comunque a ritagliarsi il proprio angolo di paradiso, arrivando fino alle semifinali di Europa League (dove i Rangers di Glasgow, per eliminarlo, devono compiere una vera e propria impresa) e, soprattutto, vincendo la DFB Pokal, comunemente conosciuta come Coppa di Germania, dopo un’intensa finale giocata contro il Friburgo.
È il primo trofeo nella storia del rinnovato club. Ed è anche il primo, in carriera, vinto dal mister.
Ciò nonostante, basterà qualche piccolo intoppo, all’inizio della stagione successiva, per portare il Lipsia a un frettoloso esonero. Rimettendo sul mercato degli allenatori il nome del mister nativo di Rossano.
Operazione Belgio
Per sfruttare una generazione ricchissima di talento. Per dare ragione a un ranking Fifa che l’ha spesso classificata al primo posto. Per piantare finalmente la propria bandiera tricolore nella mappa del calcio che conta. Per diventare una volta per tutte davvero Furie Rosse.
Per tutti questi motivi la Federazione Belga ha deciso, nel febbraio del 2023, di affidare la panchina della Nazionale all’ingegner Domenico Tedesco. Nella speranza che quella che ancora per molti, nonostante la comunque discreta esperienza messa alle spalle a soli 39 anni da compiere, risulta una scommessa si riveli invece essere una mossa vincente.
A mister Domenico il compito di portare in trionfo una selezione che finora è stata finora bella senza ballare.
Gli ingredienti perché l’ex allenatore di Schalke e Lipsia possa far bene ci sono tutti, dal momento che la squadra mixa giocatori giovani e più esperti, e che in alcuni reparti c’è letteralmente l’imbarazzo della scelta.
Dal suo arrivo Tedesco ha già mostrato un’altra faccia della propria idea di gioco. La linea difensiva è diventata stabilmente a 4, scalando a 3 solo in fase di costruzione. Si sfruttano le doti da centro-boa di Lukaku per arrivare in area con più giocatori possibili. Se le cose vanno male, palla a Kevin (De Bruyne) e ci abbracciamo.
Euro 2024 ci dirà se sarà effettivamente l’anno della consacrazione. Per il Belgio e per Tedesco.
Per il momento ci godiamo l’ennesimo allenatore italiano chiamato ad essere protagonista ai massimi livelli del calcio
Racconto a cura di Fabio Megiorin