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Tommaso Rocchi, Le ali dell'aquila

Rocchi arrivato dall’Empoli, dove con Tavano e Di Natale componeva un attacco atomico, Rocchi approda alla Lazio trovando una società sull’orlo del baratro. In biancoceleste scriverà la storia, e riporterà le aquile ai fasti di un tempo.
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Tommaso Rocchi - Illustrazione di Tacchetti di Provincia

È il 31 agosto 2004, ultimo giorno di calciomercato. E siamo a Roma, sponda Lazio.

Sta finendo l’estate più lunga e calda che il tifo biancoceleste abbia mai conosciuto. Con il club giunto a un passo dal fallimento, dopo la scellerata, per quanto di successo, gestione di Cragnotti, l’uomo della Cirio.

A salvare i capitolini è arrivato, nel pieno dell’estate, un imprenditore romano, Claudio Lotito, che sta ora provando, in fretta e furia, ad allestire una rosa competitiva per la stagione calcistica 2004/2005. Ha incassato le conferme dei veterani Peruzzi, Zauri, Negro, Oddo, Liverani, Giannichedda e Inzaghi (Simone). E, soprattutto, è riuscito a far rivestire il biancoceleste a Paolo Di Canio, idolo dei tifosi, che rinuncia alla ricca Premier League per rispondere, a 36 anni, all’accorata richiesta di aiuto della propria squadra del cuore.

Dopo aver deciso, su suggerimento dello stesso spogliatoio, che l’allenatore sarà Mimmo Caso, quel 31 agosto, come detto ultimo giorno utile per acquistare giocatori, la Lazio ne presenta alla stampa addirittura 8.

C’è un po’ di tutto: emeriti sconosciuti (Robert, Esteban Gonzalez e Miguel Mea Vitali), giovani di belle speranze (Seric e Talamonti), due vecchi volponi della serie A come i gemelli Antonio ed Emanuele Filippini, un difensore tanto versatile quanto affidabile come Sebastiano Siviglia, e un attaccante: dall’Empoli, infatti, per una comproprietà di 1,3 milioni di euro, arriva Tommaso Rocchi.

La Lazio non lo sa, ma quel giorno si è appena portata a casa un pezzo della propria storia. Perché Rocchi, alla Lazio, sarà trascinatore prima, capitano poi e leggenda alla fine.

Sesto nella classifica dei marcatori hall-time del club dietro a Immobile, Piola, Signori, Chinaglia e Giordano.

 

Chapeau, Tommaso!

Un lagunare a Torino

Pochi sanno che Tommaso Rocchi nasce e cresce a Venezia, in Laguna. Tra il sapore di salsedine inconfondibile che penetra tra le calli della città più bella del mondo e il ruggito delle grandi navi che ogni giorno vanno e vengono dal porto di Marghera.

Da Venezia se ne va a soli 16 anni. Perché se all’inizio degli anni 90 fai l’attaccante, con il mito di Marco Van Basten, e ti arriva sul tavolo una richiesta della Juventus fai davvero fatica a rifiutarla.

In bianconero fa tutta la trafila fino ad arrivare alla Primavera di Antonello Cuccureddu. Fa parte pure della rosa in grado di portare a Torino l’ultima Coppa dei Campioni della storia del club, alzata da Gianluca Vialli sotto il cielo di Roma, senza tuttavia giocare un minuto.

Le zebre lo mandano a farsi le ossa, alla Pro Patria, alla Fermana e al Saronno, salvo poi decidere di lasciarlo libero, nonostante i primi gol e qualche giocata degna di rilievo.

Dopo due ottimi anni al Como assaggia la serie B, tornando in veneto a vestire la maglia del Treviso per sostituire un certo Luca Toni, passato al Vicenza. Le 8 reti in 37 presenze nella Marca gli valgono la chiamata dell’Empoli: il definitivo trampolino di lancio.

Rocchi e l’attacco atomico di Empoli

Empoli per Rocchi vuol dire tante cose.

Vuol dire Silvio Baldini, l’allenatore che per primo lo ha messo forse nelle condizioni di esprimersi al meglio.

Vuol dire “attacco atomico”, perché un rooster offensivo con gente del calibro di Maccarone, Di Natale, Tavano, Rocchi e capitan Cappellini diversamente non può essere definito.

Vuol dire anche Serie A, perché la promozione con i toscani arriva subito. Di Natale fa 16 gol e la squadra colleziona 67 punti, posizionandosi al 4° posto. 

Quello è un grande Empoli, che al secondo anno della propria storia nella massima serie conquista una soffertissima salvezza. Il bomber quell’anno è ancora Totò Di Natale (implacabile), ma alle sue spalle si muove, e bene, proprio Tommaso Rocchi, che colleziona un piccolo record, dal momento che gioca tutte e 34 le partite di campionato. E che si toglie pure lo sfizio di schiacciare una tripletta in faccia alla Juventus, la Vecchia Signora che non credette in lui.

L’anno successivo i toscani fanno molta più fatica. Il nuovo allenatore, Baldini Daniele, fatica a trovare la quadra. Il suo successore Attilio Perotti non riesce a porre rimedio. La squadra, nonostante i gol e le giocate dei soliti due, Rocchi e Di Natale, mette insieme appena 30 punti, e retrocede mestamente in serie B.

Ma far male ai tifosi toscani non è tanto il declassamento di categoria, che un club come l’Empoli mette, ogni anno, nel catino delle “possibilità”. Quanto la consapevole certezza che saranno costretti a cedere i propri gioielli.

E succede proprio così: Di Natale va a Udine, a scrivere pagine indelebili di storia del calcio italiano. Rocchi invece prende le valigie e si trasferisce nella capitale, perché è arrivata la chiamata della Lazio.

Rocchi, Di Canio e la “lazialità”

Chissà se quel 31 agosto 2004 Tommasino Rocchi si sarebbe mai immaginato che, della Lazio, sarebbe diventato non solo pedina inamovibile e bomber prolifico, ma addirittura leggenda. Se ne andrà nel 2013, a fare la quarta punta all’Inter, lasciandosi dietro un patrimonio di 105 gol in 239 presenze.

Chissà se almeno lui se lo sarebbe mai immaginato; perché noi, no di certo.

Anche perché l’inizio non è dei più promettenti. Quella Lazio, costruita in fretta e furia, con una società più concentrata alla rateizzazione dell’ingente debito più che sull’aspetto sportivo, fa una fatica boia. A un certo punto si pone la tetra prospettiva che la serie A possa perdere, in un sol colpo, entrambe le squadre della capitale, perché nemmeno i cugini giallorossi se la passano troppo bene. Ma la salvezza alla fine arriva, all’ultima giornata.

Quell’annata travagliata è però fondamentale per Rocchi. Perché fa coppia, in campo e in camera, con Paolo Di Canio. E chi meglio di lui, diventato mito ad Upton Park con la maglia del West Ham, può spiegargli il concetto di “lazialità”? Lui, che sanguina in biancoceleste.

Nei primi due anni di Lazio Rocchi segna 17 gol per stagione. La Lazio ora sa di aver trovato il bomber da cui ripartire. Sa che ora, rateizzato il debito, può tornare a stare dove le compete. Anche perché, nel  frattempo, in panchina, è arrivato Delio Rossi. L’uomo giusto al posto giusto.

Il primo gol in un derby di Tommaso Rocchi

L’Olimpiade e la prima coppa

A Rocchi, che nel frattempo si è pure tolto la soddisfazione di partecipare a un Olimpiade, chiamato come fuori quota dal c.t. Casiraghi per la spedizione a Pechino 2008 (in cui il bomber laziale rimedia pure un brutto infortunio), Delio Rossi decide di affiancare un partner d’attacco, che si rivelerà perfettamente complementare al lagunare: Goran Pandev. I due insieme sono micidiali, ficcanti e imprevedibili. Tanto che, a qualche tifoso biancoceleste, pare quasi di essere tornato indietro nel tempo, all’epoca dei “gemelli del gol” Casiraghi-Signori.

Arrivano, o per meglio dire, tornano pure i trofei, nella bacheca del club.

La Lazio infatti conquista, in un’epica battaglia contro la Sampdoria di Mazzarri, conclusasi ai calci di rigore, la coppa Italia 2008-2009. Ad alzarla al cielo sono proprio i due capitani: Tommaso Rocchi, che in quella stessa gara sfonda quota 200 presenze con le aquile,e Cristian Ledesma.

Questo titolo dà diritto alla truppa di Delio Rossi di andare a giocarsi, l’8 agosto dello stesso anno, a Pechino la Supercoppa Italiana.

Nel frattempo però, è accaduto qualcosa. Tommasino Rocchi ha infatti scelto di prendere la corona, di accettare di essere leader maximo della squadra. Abbandona la maglia numero 18, a lui tanto cara, per prendere la mitica 9. La maglia di Piola, Chinaglia, Giordano. La maglia di chi ha fatto la storia della Lazio.

E la storia è lì, pronta ad essere scritta.

Pechino nel destino

A Pechino l’avversaria degli aquilotti sarà l’Inter. Sulla panchina dei nerazzurri, da un anno, è seduto Josè Mourinho. The Special One. Che guida una squadra che pare imbattibile. E lo sarà, in effetti, dal momento che quella dell’8 agosto sarà la prima partita ufficiale di una stagione che vedrà il club di Moratti vincere tutto, lo storico Triplete.

Ma quella sera, a Pechino, è diverso. C’è un’aria strana, quasi rarefatta. D’altronde, siamo a Pechino, direte voi. E c’avete pure ragione. A certe latitudini, in Oriente, anche l’impossibile diventa fattibile.

L’Inter fa fatica, la Lazio combatte con il coltello tra i denti. 

Al 63esimo minuto, su una punizione bomba di Kolarov, la palla dopo un flipper impazzito giunge tra i piedi di Matuzalem. Sulla prima conclusione del brasiliano Julio Cesar fa un miracolo; la palla però rimbalza sul volto del centrocampista biancoceleste e rotola in rete. La Lazio è in vantaggio.

L’Inter accusa il colpo. Anche i campioni agli ordini del tecnico portoghese appaiono frastornati, confusi, smarriti. Non riescono a reagire.

Appena 3 minuti dopo la rete dal vantaggio, arriva una lunga sciabolata sulla trequarti nerazzurra. Rocchi mette in mostra uno dei pezzi forti del suo repertorio, e brucia sul tempo i due centrali Lucio e Chivu. Pallonetto squisito al povero Julio Cesar e sfera che va a morire all’angolino. 2 a 0.

Il gol di Eto’o nel finale non rovinerà la festa biancoceleste, che porterà a Roma il secondo titolo vinto in poche settimane. Tutt’ora il più bel ricordo che lega quel gruppo di uomini, prima ancora che di giocatori.

La Lazio è tornata.

Tommaso Rocchi e la vittoria della Lazio della Supercoppa Italiana

Il volo di Olimpia

Tommaso Rocchi lascia la Lazio nel gennaio 2013. Qualche infortunio di troppo ha cominciato a minarne la condizione fisica. Un anno prima, contro il Milan, il bomber veneto aveva messo a segno la sua fatidica rete numero 105 in biancoceleste, che lo proietta ancor di più nel gotha del club.

Ma le sole 3 presenze accumulate all’inizio della stagione, lo portano a prendere altre strade. Quella dell’Inter prima, dove faticherà a imporsi. Poi quelle del Padova e del campionato ungherese.

Il ragazzo partito da Venezia ha fatto la storia. La sua e quella della Lazio.

Il club di Lotito,  a partire dal settembre del 2010, prima di ogni partita farà volare sopra il cielo dell’Olimpico un aquila reale americana di nome Olimpia. Simbolo del club e mascotte dei tifosi, che, indipendentemente se grandi o piccini, quando la guardano librarsi dell’aria avvertono quell’irrefrenabile desiderio di libertà.

Ci piace pensare che sia stato proprio Tommaso Rocchi, con i suoi gol e la sua leadership, a dare le ali a Olimpia. Dagli anni più bui alle coppe nazionali, nel segno dei gol del bomber veneto, e di quella L che mostra con le mani, per omaggiare la propria figlioletta.

E probabilmente oggi Olimpia vola ancora più libera. Perché per 105 volte ci ha pensato Tommasino a spingerla in alto.

Il tributo di Lazio Style al Capitano Tommaso Rocchi
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