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Stefano Fiore, effimera bellezza

Ha iniziato e finito presto, una carriera vissuta comunque da assoluto protagonista. La storia di un Fiore, Stefano. L’eleganza del centrocampista, numero 10 tra tanti numeri 10.
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Stefano Fiore - Illustrazione di Tacchetti di Provincia

Il poeta e drammaturgo francese Paul Claudel sosteneva che “un fiore è breve, ma la gioia che dona in un minuto è una di quelle cose che non hanno un inizio o una fine”.

Non è forse un caso, allora, che un giovedì di metà aprile, a Cosenza, nasca un bambino di nome Stefano, e che di cognome faccia proprio Fiore.

Mamma e papà non lo sanno, ma diventerà uno dei più bei centrocampisti che il calcio italiano abbia potuto ammirare in epoca contemporanea. Capace di imporsi in un’era di numeri 10 fortissimi: da Mancini a Zola, da Totti a Del Piero.

Un 10 atipico a dire la verità, il cui volo nel calcio che conta è iniziato prestissimo e si è consumato con troppa foga.

Una bellezza effimera: proprio come quella di un Fiore.

I gol di Stefano Fiore in Serie A con le maglie di Parma, Padova ed Udinese

Parma. Atto primo.

Un inizio precoce, dicevamo. Ed è proprio così. Nemmeno il tempo di esordire con la squadra della sua città che arriva la chiamata del Parma. Il grande Parma.

Che con Nevio Scala metterà in imbarazzo le superpotenze del calcio italiano ed europeo, arrivando secondo in serie A e riuscendo a portarsi a casa una storica coppa Uefa ai danni della Juve nel 1995.

A Parma Stefano approda da ventenne. Ma anche in una squadra così ricca di talento, tra i vari Dino Baggio, Zola e Sensini riesce a ritagliarsi il suo dignitoso spazio. E a vivere quegli anni magici da protagonista.

Una volta esaurita la furia ducale, per Stefano arriva il momento di fare qualche passo indietro. Ripartendo dalla provincia veneta, prima a Padova e poi nella fase embrionale di quel Chievo Verona che di lì a poco stupirà l’intero Belpaese.

Proprio nella città di Giulietta incontra uno dei suoi tanti mentori: Alberto Malesani, che si innamora follemente di lui. E che Fiore ritroverà due anni dopo di nuovo a Parma.

Parma. Atto secondo.

Si perché nel frattempo il club di Tanzi si è riportato a casa il proprio gioiellino, convinto di poterne fare uno dei pilastri della propria metà campo. Anche per il fatto che, nell’estate del 1997, il ragazzo ha preso parte alla spedizione vincente della Nazionale Italiana di Marco Tardelli vincitrice dei Giochi del Mediterraneo. Oltre a lui, in quel gruppo, talenti come Coco, Baronio, Totti, Lucarelli e Ventola.

Con l’approdo del buon Malesani, Stefano Fiore esplode in maniera definitiva. Gioca, segna e fa segnare, in una squadra dove la classe pare crescere sotto agli alberi: Buffon, Crespo, Veron, Cannavaro, Fuser, Chiesa, Thuram.

Anche in Europa si dimostra un vero trascinatore. 10 presenze e 2 gol, in un crescendo rossiniano che porterà i gialloblù ad alzare nuovamente al cielo la Coppa Uefa, vinta in finale a Mosca contro il Marsiglia.

Ma la diaspora di quel grande Parma colpisce anche lui. Che, a sorpresa un po’ di tutti, non finisce in una delle 7 sorelle che in quegli anni si contendevano il campionato.

Ma a Udine. Sempre lungimiranti i Pozzo..

In bianconero si impone nuovamente come protagonista assoluto. De Canio prima e Spalletti poi lo rendono un eccellente regista offensivo: ogni palla-gol dei friulani passa dai suoi piedi. 

I due anni in bianconero parlano chiaro: 67 presenze e 18 reti. Il ragazzo merita una grande!

I momenti più belli di Stefano Fiore con la maglia dell’Udinese

Tutte le strade portano a Roma.

L’occasione per lottare per gli obiettivi più prestigiosi gliela regala la Lazio. Cragnotti in realtà lo aveva preso già l’anno prima, insieme a Giannichedda, ma decide di lasciarli un altro anno a Udine a farsi le ossa.

Poi Stefano è pronto. E a Roma ritrova Dino Zoff, con il quale, l’anno prima, in azzurro, stava per vincere uno storico Europeo che solo il golden gol di Trezeguet leva all’Italia.

Alla Lazio Stefano scrive probabilmente le pagine più belle della propria carriera. 3 stagioni in cui sprigiona tutto il proprio talento. Si trasforma anche, tatticamente e tecnicamente. Meno trequartista, più centrocampista. Partendo da distante mette in mostra tutta l’argenteria del proprio repertorio, fatta di assist illuminanti, tiri da fuori e cross al bacio.

Inevitabilmente rimane anche nel giro della Nazionale di Trapattoni, prendendo parte alle due sfortunate avventure in Giappone e Corea, per i Mondiali, e in Portogallo per gli Europei.

Il gol di Stefano Fiore in rovesciata contro la Juventus

Valenci-ahia

Ma si sà, la vita di un calciatore, o comunque di un’artista, è fatta anche di scelte. Giuste e sbagliate.

Del secondo tipo, probabilmente, quella che porta Stefano a lasciare Roma per andare al Valencia, ad arricchire la colonia italiana di Claudio Ranieri insieme ai vari Di Vaio, Carboni, Moretti e Corradi.

Fiore è convinto di poter andare in Spagna a giocare un calcio più confacente alle sue caratteristiche. Dove l’estro e l’istinto contano più di fisico e tattica. 

Ma non tutto va così liscio. Con Ranieri il feeling è ai minimi termini, e il calcio iberico non è quello che si immaginava.

Un passaggio a vuoto, direte voi, può succedere.

Invece da qui in poi la carriera di Fiore, appena 30enne, imbocca l’inesorabile viale del tramonto.

A Firenze si rimette in carreggiata, giocando una bella stagione in maglia viola. Ma bisticcia con il Valencia per la cessione a titolo definitivo. Per ritrovarsi poi prima al Torino e poi a Livorno.

Le ultime 3 stagioni prima di appendere le scarpe lo vedono addirittura tra serie B e serie C. A Mantova prima e nella sua Cosenza poi.

Finchè non decide che può bastare così e di dedicarsi ad altro.

Attimi di pura beltà

Una decina dunque, o pochi più, gli “anni d’oro” della sua carriera. 

Ci permettiamo di dirlo: troppo pochi. Un talento come il suo avrebbe potuto, nell’ambiente giusto e con la fiducia giusta, andare avanti ancora. A 36/37 anni si sarebbe anche potuto permettere di giocare quasi da fermo, riuscendo comunque a fare la differenza.

Ma, come dicevamo, dei fiori bisogna goderne finchè li abbiamo in mano. Durano poco, sono di un fascino sfuggente. Ma in quei pochi attimi ti riescono a donare una gioia sempiterna.

Noi abbiamo goduto della bellezza di un Fiore come Stefano. E credeteci: ne è valsa assolutamente la pena.

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