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Joachim Björklund, la lealtà del marmista

L’estate del ’95 porta a Vicenza un granitico centrale difensivo svedese Joachim Björklund, che renderà impenetrabile la difesa biancorossa. Ma oltre a questo, sarà destinato a rimanere nei cuori dei tifosi per quel rifiuto alla Vecchia Signora, in nome di valori sempre più antichi.
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Joachim Björklund - Illustrazione di Tacchetti di Provincia

Mentre il Lanerossi Vicenza ri-sprofonda verso il baratro della serie C, al termine di una stagione sportivamente ignobile, in cui la società non ha saputo azzeccare mezza scommessa di mercato, c’era un tempo in cui dalle parti del neonato Largo Paolo Rossi non solo c’erano discrete disponibilità economiche (quelle, alla fine, ci sarebbero pure ora); ma si riusciva addirittura a pescare molto bene nella tonnara del mercato internazionale.

Torniamo allora indietro all’estate del 1995. Quando il Vicenza, condotto sul campo da Francesco Guidolin, e in tribuna dalla lungimiranza e dalla passione del presidentissimo Pieraldo Dalle Carbonare, si riaffaccia dopo troppo tempo alla serie A, e decide di rinforzare la squadra. Per provare non solo a restarci, nel massimo campionato, ma magari anche a fare qualcosina di più. Tipo: incantare un’intera provincia.

In particolare si decide di intervenire sul reparto difensivo, che, al fianco di Capitan Giò Lopez, non può più contare sull’esperienza di Antonino Praticò.

Si cerca all’estero, per provare a prendere un centrale che abbia centimetri ed esperienza nei massimi campionati.

Dall’IFK Goteborg sbarca, allora, all’ombra dei Berici, Joachim Björklund. Un colosso che trasformerà in duro marmo la retroguardia di Guidolin.

Da USA’94 alla Serie A

In quegli anni Björklund, nativo di Vaxjo, 22esima città più popolosa della Svezia, è un difensore che si è già affermato nel calcio che conta. 

Ha fatto pure parte della gloriosa spedizione gialloblù ai mondiali di USA ’94, con i ragazzi di Svensson capaci di portare a casa un clamoroso terzo posto, battuti in semifinale solo dai futuri campioni del Brasile.

Dopo aver militato solamente nei campionati scandinavi, Joachim Björklund  se ne sta lì, a fissare il telefono, aspettando che dall’altra parte della cornetta ci sia qualcuno disposto a portarlo in uno dei top campionati europei.

Quando vede la chiamata da un numero avente prefisso 0444, non corre a consultare l’atlante per capire dove si trovi, di preciso, Vicenza. Gli basta sapere che sta per andare in Serie A, ossia in quello che, in quel momento, è ritenuto il campionato più bello e difficile del mondo.

Insieme a lui, nella città del Palladio, sbarcano due uruguaiani: Gustavo Mendez e Marcelo Otero. Tutti e 3, insieme, ben presto scioglieranno i dubbi di coloro che, non intendendosene granchè di calcio internazionale, hanno dei dubbi sull’effettiva portata di questi 3 colpi, operati dal ds Vignoni e dal direttore Generale Gasparin.

Il ritorno della Nobile Provinciale

L’annata si rivela poi essere, infatti, una delle migliori di tutta la storia del club biancorosso in serie A.

I ragazzi di Guidolin, che tutti davano per già retrocessi ancora prima di cominciare il campionato, chiudono in nona posizione, dopo aver accarezzato per lunghi tratti di stagione il sogno di qualificarsi per la Coppa UEFA. 

In una squadra oggettivamente priva di talenti cristallini (Otero deflagrerà in maniera definitiva solo l’anno successivo), a farla da padrone è il gioco del mister di Castelfranco. Tanta corsa, tanto cuore, tanta aggressività. Rubo-palla immediato e ripartenza veloce, un mix in grado di piegare anche le grandi squadre.

Se davanti, a fare gol, ci pensano l’Avioncito Marcelo  e Roby Bum Bum Murgita, sulle fasce sfrecciano due maratoneti come Maurizio Rossi e Gabriele Ambrosetti. A centrocampo tanta legna, con i leader storici Mimmo Di Carlo e Fabio Viviani.

Dietro, davanti al fido Luca Mondini, una vera e propria saracinesca. Il capitano Giò Lopez e Björklund , infatti si integrano alla perfezione l’uno con l’altro: più esperto, abile nella lettura e bravo nel far partire pulita l’azione il primo; granitico nella marcatura e insuperabile nel gioco aereo il secondo.

Alla fine i gol subiti dai biancorossi saranno solamente 37. Uno in meno della Lazio, terza classificata. Appena due in più della Juventus vice-campione d’Italia. Chapeau.

Un sogno da rincorrere

Normale che, dopo una stagione da assoluto protagonista, con 33 presenze tutte da titolare, su Björklund si scateni l’attenzione dei maggiori club europei. E il Vicenza, d’altronde, non ha la potenza economica per poter rilanciare le offerte di questi colossi, sportivi e finanziari.

La tifoseria, allora, si rassegna nel veder partire quel fantastico e bellissimo da vedere centrale, capace in una sola stagione di scatenare nobili paragoni con altri difensori biancorossi del passato.

Il ragazzo, poi, ha fame di grande calcio. E vuole misurarsi con il trofeo più importante del mondo: la Champions League.

E proprio il club che quell’anno si aggiudica la coppa dalle grandi orecchie pare essere la più interessata alle sue prestazioni: la Juventus della famiglia Agnelli.

Le parti si incontrano, entrambe ben disposte a una positiva conclusione della trattativa.

Sembra un piano inclinato, una scena già vista con un finale scontato.

E invece accade qualcosa. Una situazione che ha pochi eguali, soprattutto nel moderno e odiosissimo calcio contemporaneo.

Il gran rifiuto di Björklund

Questa la proposta della Juventus al ragazzo:

“Caro Joachim, tu hai firmato fino a giugno del 1997 con il Vicenza. Quest’anno hai fatto davvero bene, e noi siamo davvero convinti che tu possa ripeterti anche con la nostra maglia. Noi però, capisci bene, abbiamo appena vinto la Coppa dei Campioni. A dicembre andremo a Tokyo, per provare a diventare Campioni del Mondo. Non ce la sentiamo di defenestrare ragazzi come Ferrara, Porrini, Vierchowood, Carrera. Non possiamo davvero”

“E quindi? Non se ne fa nulla? E perché mi avete chiamato qui?”

“Che ne dici Joachim di rimanere un altro anno a Vicenza? Potrai giocare con continuità, prendere ancora più confidenza con il nostro campionato. Poi non dovrai fare altro che rifiutare qualsiasi offerta di rinnovo che loro ti faranno. Così, da fine gennaio, sarai libero di firmare con noi. Risparmiandoci, oltretutto, una bella spesa. Che dici?”

Molti altri calciatori avrebbero ben accolto questa “proposta indecente”. Pur di giocare nella Juve, alla ricerca unicamente della gloria personale. E tante volte, infatti, è andata esattamente così. Pure in epoca recente. In barba ai valori che dà sempre dovrebbero albergare in uno sportivo: lealtà, correttezza, attaccamento, riconoscenza.

Questi discorsi, però, non trovano parrocchia in un ragazzo come Björklund. In Svezia gli hanno insegnato che si può arrivare dove si vuole senza per forza doversi macchiare le “mani di sangue”.

Il suo rifiuto alla proposta bianconera è netto, deciso e inderogabile.

Si alza dal tavolo, e se ne va. Non ne vuole sapere di tradire il club che ha voluto dargli una possibilità in questo campionato. Quelle persone che sono volate fino in Svezia per portarselo a casa, che gli hanno offerto un buon contratto e un posto sicuro e confortevole dove fare ciò che gli riesce meglio, ossia giocare a pallone.

Se se ne andrà, e lo farà, vuole che queste persone abbiano il loro giusto tornaconto.

Nessun treno per Torino, dunque (alla Vecchia Signora vireranno su Montero). Ma un bell’aereo che lo porta dritto dritto a Glasgow, a giocare per i Rangers. Con in cambio un lauto bonifico per la società del presidentissimo Pieraldo Dalle Carbonare, che li investe per acquisire, a titolo definitivo, Ambrosetti e Sartor.

Björklund e il ritorno in Veneto

A Glasgow la carriera di Joachim Björklund prosegue in pompa magna. Dopo due anni in Scozia finisce poi in Spagna, dove si cimenta, con buon profitto, nella Liga Spagnola con la maglia del Valencia.

Proprio in Catalogna si toglie pure la soddisfazione di segnare il suo PRIMO e UNICO gol in carriera, all’80esimo di un match di campionato contro il Racing Santander.

Le infinite strade del cuore, successivamente, prima di tentare l’esperienza inglese in Premier League, lo ricondurranno in Italia. Ancora in Veneto, per di più. Stavolta però in laguna, dove veste per una stagione la maglia del Venezia.

Nel 2005 Björklund  appende le scarpette al chiodo per intraprendere, molti anni più tardi, il percorso di assistente allenatore, ruolo che tuttora ricopre nel Sarpsborg.

Annata sfortunata quella, sia per gli arancioneroverdi che per lo svedese, frenato da continui e insoliti infortuni. Il club di Zamparini retrocede in serie B e deve lasciar partire oltre manica Björklund, incapace di sostenere un così oneroso ingaggio.

Avrà molte cose da insegnare ai suoi ragazzi, una su tutte in particolare: la lealtà.

Merce rara, che non si compra né si allena così facilmente, soprattutto in questi odiosissimi tempi moderni.

Una dote che però ti consente di avere indietro tanto tanto rispetto. Come quello che ancora oggi, i tifosi biancorossi, hanno nei confronti del loro gigantesco centrale svedese. Che per una stagione trasformò in marmo la retroguardia del Vicenza.

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