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Joey Barton, Against the world

Joey Barton, da tutti definito come un criminale, un galeotto. Una sequela innumerevole di episodi violenti, una quantità abnorme di giornate di squalifica. Ma spesso ci dimentichiamo del fatto che Joey sapeva anche giocare.
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Joey Barton - Illustrazione Tacchetti di Provincia

Se iniziate a leggere questo articolo pensando che vi siano contenute tutte le malefatte di Joseph Anthony Barton (in arte Joey) commesse durante la sua carriera, vi avvertiamo subito che rimarrete delusi.

Di lui, in tal proposito, si è già detto e scritto in ogni dove. Di tutti i suoi vizi e i suoi problemi. E bisogna dirlo, non si è fatto mancare proprio niente. Dall’alcolismo alla ludopatia, con annessa esperienza nelle patrie galere.

Il suo nome provoca spesso imbarazzo e disgusto tra i perbenisti del pallone, soprattutto in un regno di etichetta e clichè, come quello di Sua Maestà la Regina. 

E se vi è capitato di sentire parlare di lui, sarà successo sicuramente per quella sigaretta spenta su un occhio di un ragazzo delle giovanili ai tempi del City. O per i cazzotti con Dabo. Le botte a un tifoso dell’Everton in Thailandia fecero capire a tutti che il carattere del ragazzo era conflittuale e problematico. La ginocchiata ad Aguero in una delle partite più famose degli ultimi 20 anni di Premier (quel Manchester City – Q.P.R. che consegnerà il titolo alla squadra di Mancini grazie al gol all’ultimo secondo proprio del Kun) lo hanno fatto balzare agli onori anche della cronaca italiana, grazie soprattutto al telecronista Massimo Marianella, che lo dipinse, senza tanti giri di parole, come “uno stupido e un criminale”.

Sia chiaro, non proveremo in alcun modo a difenderlo né tantomeno a giustificarlo. Ma semplicemente a capire quali demoni hanno scavato la mente di questo ragazzo di Liverpool per tutta la sua vita. E che non sembrano abbandonarlo nemmeno ora, che da allenatore dovrebbe dare il buon esempio.

Perché spesso ci si dimentica che, al di là di tutto, Joey Barton una cosa la sapeva fare molto bene, forse l’unica: giocare a pallone.

La genesi del Joey “criminale”

No, Joey Barton non era un criminale.

Ha portato molti a considerarlo come tale, ma non lo era. Anche se lo sarebbe potuto diventare, sarebbe bastato così poco.

Perché a Huyton, il sobborgo di Liverpool dove è cresciuto, tre sono le alternative: “fare il calciatore, fare l’artigiano o darsi alla droga”.

E quando l’Everton, la sua squadra del cuore, a 14 anni gli chiude le porte delle proprie giovanili per uno sviluppo fisico ancora insufficiente, rischiavano di rimanere solo le opzioni B e C nella vita di Joey, abbandonato dalla madre e dal proprio sogno.

Ma Joey Barton è soprattutto questo: un uomo che ha cercato di convivere con i propri limiti e le proprie debolezze, riuscendo a conviverci e traendo da esse la forza e la spinta per essere diverso, non per forza migliore.

“Diventerò un calciatore, batterò l’Everton e mostrerò il culo a tutti” deve aver pensato. Farà tutte e 3 le cose, un pomeriggio di settembre al termine di un match di Premier League.

… ma sapeva anche giocare

Chi ha provato o sperato di cambiare Joey Barton nel corso della sua carriera ha sempre fallito nel suo obiettivo. Il bene e il male di Joey sono inscindibili, sono parti della stessa mente che si attraggono inevitabilmente l’una con l’altra.

Di Joey Barton oggi si tende a ricordare soprattutto la versione indisciplinata: i cartellini rossi, le entratacce sugli avversari, le innumerevoli squalifiche e sospensioni.

Ma a una domanda si è spesso faticato a trovare risposta: cosa può aver spinto vari club di primo livello, storici e di spessore a puntare sempre su quello che era oramai unanimemente considerato come un “galeotto”?

È proprio questo il problema: che ci si è troppo spesso dimenticati di Joey Barton come calciatore.

Un difensore che ha saputo reinventarsi come centrocampista. E che ha capito l’evoluzione del football moderno prima di tanti altri. Ai tempi del Manchester City Joey infatti aveva capito che non funzionava più il midfielder in puro stile british, tutto contrasti e palle verticali. Serve sì recuperare con aggressività e tenacia il pallone, capacità che non lo ha mai abbandonato. Ma poi la palla va giocata corta, a terra. E una volta effettuato il passaggio bisogna riproporsi per andare subito a dare una soluzione ulteriore al compagno.

Questo modo di giocare cambiò la visione del Manchester City, con il club che fu disposto a chiudere 600 occhi di fronte alle continue irrequietezze di Barton, pur di vederlo orchestrare il gioco a metà campo.

E lo portò anche a rappresentare l’Inghilterra, proprio quel paese che di lì a qualche anno lo avrebbe ostracizzato per sempre. Con la maglia dell’under 21 prima, e con quella della Nazionale Maggiore poi, entrando al posto di Frank Lampard in un’amichevole tra Inghilterra e Spagna nella sua Manchester.

Tutti i gol di Joey Barton con la maglia del Manchester City

E proprio questo convinse club come il Newcastle, il Q.P.R., l’Olympique di Marsiglia, i Glasgow Rangers, il Burnley a credere in lui. Anche quando i cartellini continuavano ad aumentare  (ne metterà a referto 118 in carriera, con regolare passaggio dal giallo al rosso). Anche quando il tuo nome e il tuo volto finisce sulle prime pagine di tutta Europa, perché hai scatenato un putiferio nel match decisivo del campionato.

I propri demoni come forza

“Per 32 anni ho cercato di capire chi ero e perché. Ho usato tanta di questa energia oscura che mi porto dentro per fare di me stesso un calciatore. Se fossi stato una persona equilibrata non sarei mai divenuto un atleta di alto livello”

Joey Barton era proprio questo. Un uomo, prima ancora che un calciatore, che nell’impossibilità di sconfiggere i propri demoni ha scelto di sfruttarli per raggiungere i suoi obiettivi.

Non ci sarebbe mai stato Joey Barton senza il suo lato oscuro, chiamatelo pure “criminale” se volete.

Se resti a guardare la Luna non puoi dimenticarti dell’esistenza del Sole.

Non ha avuto paura di accettarsi prima e di mostrarsi poi per come era veramente. Non ha mai preteso di piacere a nessuno, chiedeva solo al club e ai tifosi di aiutarlo a non essere peggiore di così.

Chi lo tesserava doveva sapere che su 40 partite ne avrebbe giocate, forse, 20. Che avrebbe fatto imbizzarrire con i suoi atteggiamenti allenatori, avversari e opinione pubblica. 

Ma sapeva anche di tesserare un giocatore in grado come pochi di giocare il pallone in mezzo al campo, di leggere preventivamente le situazioni. Di fare indossare la propria maglia a un guerriero, che da quel momento sarebbe stato disposto a tutto pur di sconfiggere l’avversario.

Sì perché per Joey il calcio non è solo atletismo e gesto tecnico. È sopraffare il nemico. Per lui il fine ha sempre giustificato i mezzi, da grande lettore di Machiavelli qual è.

Non ha mai accettato le rese. Se non si riusciva in un modo, bisognava trovare un’altra strada. A costo di rimetterci la gamba, in un contrasto, o la faccia di fronte al proprio paese.

Un paese che non lo vuole più

Già, l’Inghilterra.

Il paese che lo ha demonizzato, con tanto di copertina del News Of The World che chiedeva di bandirlo per sempre dal mondo del calcio. Il popolo che ha riabilitato Cantona dopo il calcio volante a un tifoso, che ha innalzato a leggenda Roy Keane dopo aver posto fine alla carriera di Haaland, non è stato in grado di sopportare le gesta di Joey Barton.Tanto da costringerlo, a un certo punto, ad attraversare il canale e ad andarsene in Francia. Dove ha trovato la sua dimensione, in una Marsiglia che gli assomigliava, per la continua lotta contro un potere più grande.

Lo stesso paese che ora lo ha riaccolto come allenatore. Al Fleetwood prima, al Bristol Rovers ora.

Non è cambiato nemmeno ora, che è costretto suo malgrado a dare l’esempio. Ne ha fatte le spese Daniel Stendel, allenatore del Barnsley, che dopo averlo apostrofato ci ha rimesso un paio di incisivi.

Non cambierà mai. E probabilmente non piacerà mai a nessuno.

Sarà per sempre considerato un criminale e se ne farà una ragione. 

Sarebbe però un peccato mortale dimenticarsi che Joey Barton, al di là di tutto, sapeva anche giocare.

Se vuoi leggere la storia di un altro "Maverick" del Calcio Inglese, Clicca qui

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