La squadra d'oro
C’è stato un preciso momento storico in cui a insegnare il calcio al resto del mondo non erano gli inglesi, o le corazzate dei continenti latini.
C’è stato un preciso momento storico in cui in una nazione, che tutti consideravano martoriata dal doppio conflitto mondiale di inizio secolo, una generazione di fenomeni ha cambiato il modo di vedere e capire il football, sia da un punto di vista tecnico che tattico.
C’è stato un preciso momento storico in cui anche i più tradizionalisti e conservatori dei calciofili hanno dovuto inchinarsi, di fronte a una singola squadra. Una di quelle che ne nascono una ogni 100, forse 1000 anni, di così forti e innovative.
In questo momento storico, tra la fine degli anni ’40 e l’inizio degli anni ’50, il mondo del calcio scopriva la Grande Ungheria, che in patria, e non solo, ancora oggi viene chiamata “Aranycsapat”, la Squadra d’Oro.
Un infornata di straordinari talenti, guidati da un tecnico visionario, Gustav Sebes, e che trovava la sua suprema sublimazione nelle giocate di un autentico fenomeno, di nome Ferenc Puskas.
Arrivata tuttavia solo a un passo dalla consacrazione definitiva, nell’incredibile Mondiale del 1954.
I primi segnali
Le prime avvisaglie che in Ungheria ci si trovi effettivamente di fronte a una generazione di fenomeni si hanno alle Olimpiadi di Helsinki 1952. La Nazionale, già guidata da 3 anni da Sebes, dilania la concorrenza, segnando 20 gol in 5 partite, con sole 2 reti al passivo. In finale a inchinarsi è la Jugoslavia, eterna seconda, che cede il passo per 2-0 sotto i colpi di Puskas e Czibor.
Vittorio Pozzo, commissario tecnico italiano, rimane impressionato. Kicker, autorevole rivista tedesca, scrive che “non sono sufficienti 90 minuti per assistere a un calcio così meraviglioso”.
L’anno successivo l’Ungheria si aggiudica anche la Coppa Internazionale, giocata nel corso di un lustro, piazzando Puskas e Deak ai primi due posti della classifica marcatori.
I calciatori diventano automaticamente i “mighty magiars”, i “potenti magiari”. Ma al mondo del calcio non basta ancora per elevarli a livelli assoluti. Il Torneo Olimpico, per motivi tuttora oscuri, è stato sempre considerato in secondo piano rispetto a rassegna come Mondiali ed Europei. Figuriamoci una “coppetta” con sole 5 nazionali partecipanti.
Ovviamente a entrare a gamba tesa sono i padri fondatori di questo sport: gli inglesi. Che invitano la Nazionale di Sebes a Wembley, in un campo in cui nessuna squadra del continente ha mai sconfitto i Leoni d’Albione, per vedere se questi magiari sono veramente così “mighty”.
Per l’Inghilterra il fracasso sarà pesante e doloroso. 6-3 per l’Ungheria. Un autentica lezione di calcio.
Gli inglesi chiedono la rivincita, a campi invertiti. A Budapest ne prendono 7 (7-1, tutt’oggi la peggior sconfitta nella storia della Nazionale britannica), tornano a Londra con le pive nel sacco, senza più alcuna voglia di rivedere, a stretto giro di posta, quelle schegge impazzite.
Il primo falso nueve
Il segreto della squadra di Sebes si può riassumere in due parole: talento e sistema.
Il talento è quello di una giovane infornata di giocatori, cresciuti in un sistema calcistico, quello ungherese, in cui le squadre del campionato sono associate a vari enti governativi. In questo modo la mitica Honved è la squadra dell’Esercito, mentre l’Ujpest rappresenta il Ministero degli Interni, e quindi la Polizia.
Lo zoccolo duro della rosa è formato proprio dal blocco-Honved (8/11 della formazione titolare, Puskas compreso), il resto proviene invece dal Voros Lobogo (l’odierno MTK).
Da un punto di vista tattico Sebes si ispira ovviamente al “sistema” tanto in voga in quegli anni, ossia il cosiddetto WM. Ma con una variazione tanto piccola quanto fondamentale, dovuta a una esigenza che si intreccia inevitabilmente con il contesto storico-politico-culturale dell’Ungheria di quegli anni.
Nel 1949 Ferenc Deak, probabilmente, ma senza troppo timore di essere smentiti, il più forte centravanti ungherese di tutti i tempi, decide di lasciare la nazionale in completa ribellione contro il regime comunista.
Sebes non è convinto di Palotas, sostituto naturale di Deak. E decide così di adattare Nandor Hidegkuti, ala destra del Voros Lobogo, nel ruolo di centravanti arretrato, creando così il primo “falso nueve” della storia del calcio.
Il posizionamento di Hidegkuti, e l’ampiezza garantita dalle due ali, Puskas da una parte e Kocsis dall’altra, permettono alle due mezzali di fungere da veri e propri centravanti d’inserimento. Creando un sistema di gioco in grado di far venire il capogiro anche alle difese più strutturate.
Il resto lo fa la cura dei dettagli di Sebes e, soprattutto, la classe di Ferenc Puskas, cervello e rifinitore della squadra, che negli anni successivi incanterà anche, nonostante un evidente sovrappeso, con la maglia del Real Madrid in coppia con Di Stefano.
La grande occasione
Come ogni squadra leggendaria, però, anche l’Ungheria ora è attesa dalla definitiva affermazione.
L’occasione arriva con il Mondiale del 1954, organizzato in Svizzera, in cui ovviamente quasi tutti i favori del pronostico pendono dalla parte dei magiari. Nessuno sembra in grado di contrastare lo strapotere tecnico-tattico-fisico della squadra di Sebes.
L’inizio del torneo della “Squadra d’Oro” sembra confermare tutto ciò. Alla prima partita Puskas e compagni spazzano via la malcapitata Corea del Sud con un rotondo 9-0. Poi ne danno 8 alla Germania Ovest, accedendo sui pattini ai quarti di finale. Dove gli ostacoli sono decisamente più duri, perché si chiamano Brasile e Uruguay.
I verdeoro vanno al tappeto 4-2, in quella che passerà alla storia come “la Battaglia di Berna”: una partita maschia e accesa, ricca di colpi proibiti. Contro l’Uruguay i magiari fanno ancora più fatica, ma riescono a cavarsela vincendo ai supplementari 4-2.
In finale l’Ungheria ritrova la Germania Ovest, demolita alla seconda giornata della fase a gironi per 8-3. È una Germania molto diversa da quella che oggi siamo abituati a conoscere, e che ha visto il suo miglior risultato nel bronzo conquistato ai Mondiali del 1934, prima dell’esclusione a seguito del coinvolgimento nella seconda guerra mondiale.
L’Ungheria arriva all’appuntamento stanca dopo le forche caudine sudamericane appena passate, e con un Puskas malconcio a seguito di un entrataccia del tedesco Liebrich nella partita della fase a girono. Ma sulla carta non c’è partita.
Nemmeno quando l’arbitro Ling dà il fischio d’inizio. Dopo 8 minuti è già 2-0 Ungheria, con i gol dello stesso Puskas e di Czibor, che Sebes ha schierato nella fascia opposta, rispetto a quella di sua solita competenza.
Ma la storia ci ha insegnato quanto i tedeschi siano duri a morire. Al minuto 10 Morlock approfitta di un retropassaggio errato di Zakarias e riapre la contesa. Al 18esimo arriva pure il pareggio, firmato da Rahn sugli sviluppi di un calcio d’angolo.
I magiari si buttano all’assalto, e nonostante Puskas fatichi a deambulare, colpiscono un palo e costringono il portiere Turek a un paio di interventi prodigiosi. Nella finale di gara, però, in un clima di semioscurità, ancora Rahn aggancia un pallone respinto da Lantos e realizza il 3-2. La Germania Ovest è, per la prima volta, Campione del Mondo. Ancora oggi quell’impresa viene ricordata come “il Miracolo di Berna, e allo Stade De Suisse è tuttora presente l’orologio originale, con il punteggio della partita.
È anche il canto del cigno della grande Ungheria, con Sebes che in patria rischierà addirittura il linciaggio mediatico (e non solo). E le cui ceneri saranno sparse in giro per l’Europa dalla Rivoluzione Civile del 1956.
Per scoprire gli altri Sogni Infranti del calcio, clicca qui