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Luigi Delneri, calcio in codice

L’ artefice del miracolo Chievo, ma non solo. Tante altre le imprese compiute, nelle categorie inferiori, da Luigi Delneri. Un calcio, il suo, che va capito. Non solo nel linguaggio, indecifrabile per tutti tranne che per i suoi giocatori.
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Luigi Delneri - Illustrazione Tacchetti di Provincia

“Aò, e chi sò questi?”

È il 26 agosto del 2001, e siamo a Firenze, stadio Artemio Franchi. A porsi questa domanda, con spiccato accento romano, è Angelo Di Livio, che quel giorno, con la fascia al braccio, guida la Fiorentina da capitano alla prima giornata di campionato.

Quelli che Di Livio si domanda chi siano, ma soprattutto da dove vengano, sono un branco di ragazzi terribili in maglia gialloblu. Stanno annientando la Viola, e vinceranno, a sorpresa, quella partita per 2 a 0.

In panchina, a telecomandarli, un allenatore friulano che grida a ripetizione frasi apparentemente incomprensibili ai più, ma che i suoi giocatori paiono recepire perfettamente, e trasformare in un calcio frizzante e dinamico. Tanto che in campo volano letteralmente.

Sono i ragazzi del Chievo Verona, e il loro allenatore: Luigi Delneri.

E hanno appena iniziato a scrivere una delle favole più belle del nostro calcio.

Non solo Chievo

Fino a quel momento la serie A conosceva più che altro il Gigi Delneri giocatore, visto un centinaio di volte nel massimo campionato con le maglie di Udinese e Foggia (in cui a centrocampo si spalleggiavano lui e Nevio Scala).

Eppure, da allenatore, aveva già fatto parlare di sé, nelle categorie inferiori, per qualche impresa degna di nota.

Come il campionato di C2 vinto a Ravenna, o come il biennio sulla panchina della Nocerina (vittoria in C2 e, l’anno dopo, playoff in C1). Fino alla meravigliosa scalata alla guida della Ternana, condotta dalla C2 fino alla serie B, grazie a due promozioni consecutive, unite a una striscia di imbattibilità durata ben 39 partite.

Già nel 2000 il Chievo del presidente Campedelli si dimostra club lungimirante nell’affidare al tecnico di Aquileia la propria panchina. Risultato? Promozione al primo anno, con un terzo posto in serie B che porta, per la prima volta nella storia, la squadra del quartiere veronese nel massimo campionato italiano.

I Mussi Volanti

Gli anni successivi sono storia, non c’è nemmeno bisogno di raccontarli, dal momento che un po' tutta Italia, a un certo punto, ha fatto il tifo per i Mussi Volanti contro le grandi della Serie A.

Quell’annata, iniziata con la vittoria a Firenze sotto gli occhi del povero Di Livio, vedrà il Chievo per lungo tempo in vetta alla classifica, fino al quinto posto finale, che vale una clamorosa qualificazione alla Coppa Uefa.

Una squadra che, esattamente come tutte le compagini leggendarie, è diventata presto filastrocca. Che ancora oggi molti tifosi, non solo veronesi, sanno ripetere a memoria.

Lupatelli; Moro, D’Angelo, D’Anna, Lanna; Eriberto, Corini, Perrotta, Manfredini; Corradi, Marazzina.

Ragazzi fantastici, molti dei quali alla prima esperienza in serie A. Alcuni di loro inizieranno da quel momento una luminosa carriera (Perrotta si laureerà addirittura campione del Mondo nel 2006). Altri si fermeranno praticamente lì.

Qualcuno addirittura cambierà nome. Per questo non troverete nulla, oggi, negli almanacchi sotto la voce “Eriberto”. Perché in realtà si chiama Luciano Siqueira de Oliveira.

Delneri al Chievo rimane poi altri due anni, dove porta a casa un settimo e un nono posto. Che per un club a cui bastano, ogni stagione, i fatidici 40 punti per sentirsi Campione d’Italia equivalgono a qualcosa come l’oro nel Klondike.

Il segreto di Gigi

Il segreto delle squadre di Delneri non sta tanto nel modulo (4-4-2 sempre, ovunque e comunque). Quanto nei meccanismi che lo vanno a comporre, sempre oliatissimi fino a diventare automatici.

La regola fondamentale è: squadra corta. Difesa alta dunque, anzi altissima, e tattica del fuorigioco applicata in maniera ossessiva. In quegli anni è davvero difficile vedere la linea difensiva clivense anche solo una volta malposizionata.

Il gioco poi va sviluppato sulle fasce. Centralmente, il riferimento è invece sempre Eugenio Il Genio Corini, che con la sua visione, e il suo destro educatissimo, può aprire e cambiare campo, da una parte all’altra.

Le due punte si interscambiano continuamente tra loro: uno va incontro, l’altro attacca la profondità; uno si decentra, e l’altro taglia. Frutto di ore e ore di esercitazioni, curando ogni singolo dettaglio.

Non ha mai avuto veri bomber, Delneri al Chievo. Li ha creati. Chissà se, senza di lui, Federico Cossato o Sergio Pellissier avrebbero mai avuto occasione di calcare i campi della Serie A.

Un calcio da capire

È un calcio che va capito, quello di Delneri. E non solo perché il mister dalla panchina urla a squarciagola come una macchinetta, saltando rigorosamente ogni singola “r”.

E non tutti sono stati in grado di comprenderlo.

Prima del Chievo, Delneri ha occasione di cimentarsi per la prima volta con la serie A quando viene ingaggiato dall’Empoli, stagione sportiva 1998-99. Ma non arriverà nemmeno alla prima giornata di campionato, venendo esonerato in favore di Antonello Cuccureddu, ufficialmente per “incomprensioni tattiche con giocatori e società”.

Stessa cosa avviene subito dopo aver lasciato il Chievo, quando Gigi va ad allenare il Porto. Si scontra subito con i senatori della squadra, e viene esonerato addirittura il 7 luglio.

Anche un sergente di ferro come Zamparini dovrà ammettere di aver sbagliato approccio con lui, quando lo caccia dal Palermo a gennaio dopo una brutta sconfitta contro il Siena, pentendosene poi amaramente.

Anche a Genova, con la Sampdoria, qualcosa non va. Con Cassano è scontro totale, e il talento di Bari Vecchia viene messo fuori rosa. Nemmeno la successiva miracolosa qualificazione alla Champions League salva mister Delneri dall’esonero, e i preliminari sulla panchina blucerchiata li condurrà Domenico Di Carlo.

Il capitolo Juventus

Il 19 maggio del 2010 gli viene data la possibilità di allenare la Juventus.

Sono anni bui, per la Vecchia Signora, risalita sì dopo Calciopoli, ma incapace di tornare ad essere la squadra dominante che tutti i tifosi, e soprattutto la famiglia Agnelli, vorrebbero vedere.

Avrebbe bisogno di pazienza, ma in casa bianconera non ce n’è. Perché lì, si sa, vincere non è importante, ma bensì l’unica cosa che conta. E il fine, in casa Juventus, ha sempre e comunque giustificato i mezzi.

Sarà quindi involontario protagonista di una delle peggiori stagioni della storia bianconera, con la squadra che termina al settimo posto, fuori dalle Coppe Europee, ed eliminata dall’Europa League già nella fase a gironi.

Lo sostituirà Antonio Conte, che a Vinovo cambierà tutto: dalle abitudini al modo di giocare, dai comportamenti al modo di pensare.

Delneri invece non troverà più alcuna big disposta a dargli fiducia.

Questione di intesa

Il suo football, come detto, va capito.

Ha bisogno di terreno fertile su cui porre la semina. E a questo devono contribuire tutti: dalla società ai giocatori, finanche ai giardineri e ai magazzinieri.

Dove ha avuto la possibilità di lavorare, ha fatto bene.

Angelo Di Livio troverà poi le risposte alle domande che si faceva quel pomeriggio al Franchi. Sentendo il rap in panchina di questo allenatore, con frasi incomprensibili che solo i propri giocatori paiono sapere cosa significhino.

È lo stile che ha meravigliato tutta l’Italia calcistica. Il linguaggio dei Mussi, che imparano a volare.

È il calcio in codice di Gigi Delneri.

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