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Giovanni Galeone, la grande bellezza

La storia dell’allenatore che ha trasformato Pescara in una favola di calcio e bellezza. Il ricordo più intenso del “Profeta”, l’uomo che ha cambiato una città.
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Il calcio non è solo un gioco, è una forma d’amore. Chiedetelo alla città di Pescara. In un pomeriggio d’inizio novembre, si diffonde la notizia più cruda. All’età di 84 anni, si è spento il “Profeta”. 

Lascia la vita che adorava, di domenica, la giornata in cui adorava osare. Il connubio Pescara-Galeone è inossidabile, per giorni non si parla d’altro. Dediche, omaggi, iniziative. Non è solo l’allenatore più importante del club, è tra gli uomini più influenti della città. Lascia un vuoto incolmabile, è indetto il lutto cittadino. 

Nasce un Comitato per intitolargli lo Stadio Adriatico. Poi, all’improvviso, la famiglia rende nota la sua ultima volontà: farsi cremare, spargere le ceneri nel mare di Pescara. E’ un amore pienamente corrisposto.

Pescarese d’adozione

Il paradosso: il Mister classe ‘41 non è nato a Pescara. Da Napoli, si trasferisce con la famiglia a Trieste, il mare nel destino. Il pallone al centro di una lunga carriera di provincia, da giocatore ed allenatore. La dimora fisica diventa Udine, il cuore sempre fisso in Abruzzo. 

Pochi anni fa, rilancia la bomba più tenera: “Di Pescara mi piace tutto. E’ una donna che ti fa perdere la testa. Mi piace quando arrivi la sera alle undici e vedo la gente in coda in macchina per parcheggiare vicino via delle Caserme, mi piace quel suo essere sempre in movimento, quel po’ di sana sbruffoneria, quel voler vivere alla grande, magari anche al di sopra delle proprie possibilità ma sempre con la convinzione di potercela fare. Il pescarese è spavaldo e generoso e questa generosità si vede in tutto. Anche nel tifo allo stadio. A Udine giocano i preliminari di Champions e c’è il Friuli mezzo vuoto. Se una cosa del genere succedesse a Pescara dovrebbero chiamare l’esercito per tenere lontana la gente. Rischierebbero di far crollare le tribune dell’Adriatico. Dunque, voglio bene a Udine ma amo Pescara. Semplice no?”

L’eta dell’oro (pescarese)

Il Profeta ha vissuto e alimentato il periodo più florido della città: gli anni ‘80. Pescara era una giostra: gira l’economia, la voglia di costante divertimento. Mare, locali, piaceri della vita mondana. Lo sport assume un ruolo chiave, è tra i vecoli di godimento. Calcio, pallavolo, pallanuoto, basket. Grandi squadre, grandi risultati. 

Qui si inserisce Galeone, esteta per eccellenza. Un profilo che, per formazione e cultura, fa subito breccia nei pescaresi. Abita le vie cittadine, tanti amici, gratificazione e affetto. Adora la pesca, i negozi, i locali, i ristoranti, la magnanimità dei frequentatori. Singolare il rapporto con chiunque incontra. 

Un esempio? I giornalisti. La conferenza prepartita non è di quelle classiche. Apre le porte dello spogliatoio, domande e risposte, tra pizzette e champagne. Il Profeta ama il bello in ogni forma. I bei libri, la bella musica, la bella vita... e poi il bel calcio.

Calcio champagne

Meriti umani e calcistici si fondono. Lo spirito incline alla città, sul campo infila una serie di capolavori. Da allenatore biancazzurro conquista due promozioni e una salvezza in Serie A. 

Trasfonde in campo idee e concetti che incarnano le aspettative della piazza. I tifosi popolano lo stadio per staccare dalla quotidianità. Biglietto, cintura, giretto nella giostra della felicità. Il Pescara è spumeggiante, sbarazzino, divertente. Tatticamente è un precursore. Il 4-3-3 e lo schieramento a zona. 

Il Delfino cavalca l’onda del coraggio. Non cede a compromessi, puntando sempre alla vittoria. Credere in sé stessi, senza badare allo spessore avversario. Giocare per il pari? Una sconfitta anticipata. Dalla panchina pretende velocità di esecuzione, verticalità immediata. Non conosce lo stop, chiede di giocare di prima. Ai tatticismi estremi, antepone una certa libertà di azione. Purché non si rallenti il gioco, libera l’estro degli interpreti. 

Da qui lo slogan: “Il quarto passaggio è monotonia”. Luce immediata verso la via del gol.  Sono questi i principi che lanciano il Delfino nella storia. 

“40 mila saremo a tifAr”: è tutto vero

Galeone approda a Pescara nell’estate ‘86. La squadra, appena retrocessa, prepara in ritiro il campionato di C. Senza grandi pretese, come un fulmine arriva il ripescaggio in B. Con una rosa zeppa di giovani, parte la gloriosa cavalcata. 

Il condottiero forma e cementa il gruppo nelle difficolltà. I talenti sbocciano, il gioco ruota, si ricrea entusiasmo. L’Adriatico è una bolgia, gremito in ogni ordine di posto. Nella partita chiave contro il Parma, sono in 40 mila, come intonato nell’inno della squadra. 

Ai più giovani che non hanno potuto godere di tale bellezza, restano i nostalgici racconti dei nonni. Sui banchi di scuola si commemorano le sfilate di macchine e motorini per la città. La favola si ripete in massima serie. Le giovani promesse, rinforzate da campioni dal calibro di Junior e Sliskovic, stupiscono anche nei palcoscenici più ambiti. 

“Non vince il più forte, vince il più bravo”: il mantra del Profeta. E così che sbanca la Scala del Calcio. Inter-Pescara: 0-2. Segnano Galvani e Sliskovic. Sul campo, la vittoria più bella. I biancazzurri si salvano, per la prima e unica volta, in Serie A. Come? Giocando all’attacco.

Galeone educatore

A cavallo degli anni ‘80 e’90, diverse le parentesi in riva all’Adriatico. Il tira e molla di chi si ama, e non riesce ad allontanarsi. Otterrà una seconda promozione in A, stagione ‘91-‘92. Al di là delle conquiste sportive, carisma e fascino Galeoniano spiccano anche nello spogliatoio. 

E’ un educatore anti-conformista, instaura un legame paterno con i suoi calciatori. Dalla formazione del Maestro, studiandone l’approccio filosofico e tattico, generazioni di allenatori si affermano nel calcio moderno. 

Tra questi: Massimiliano Allegri, l’allievo prediletto. Ne ha rubato soprattutto gli insegnamenti difensivi, ma il rapporto va ben oltre il campo. In giovinezza, Max è prossimo al matrimonio. La sera prima delle nozze, scoppiano i dubbi. Che si fa? Telefonata al Mister, dispensa consigli. Sveste l’abito d’allenatore, indossa quello di padre. Lo invita a riflettere. Indecisione alla vigilia della fede: cattivo segno. Lo ascolta e sfugge all’altare. Sale sull’aereo diretto in Sardegna, raggiungendo l’allenatore. Per svagarsi e staccare la testa, come facevano i pescaresi, Allegri sceglie il divertimento assicurato: il mare e Giovanni Galeone.

Più che un allenatore, il simbolo della città

Per tutto questo, anche di più, piange Pescara. Se ne va un’icona, àncora di un calcio irripetibile, emblema di un’era splendente. Scolpiti sui muri: gesta, parole, insegnamenti.  

E’ l’anello di congiunzione tra diverse generazioni di sportivi. Chi oggi tifa e ama il Pescara, lo fa anche attraverso le sue conquiste. La fede che si tramanda, passando da leggende così. Durante le sue partite, uno striscione aleggiava fieramente sugli spalti. 

Nel dialetto locale: “A chi non piace Galeone, deve buttarsi dal balcone”. La realtà è che oggi, più di prima, Galeone piace a tutti. Si rafforzano i segni della passione e del coraggio. Ha insegnato che le imprese partono quando ci credi. Ci ha sempre creduto, nel calcio e nella vita. Gli mancava Pescara, voleva tornarci. 

Esprimendo l’ultimo desiderio, ha scelto di nuotarci per sempre. In quel mare, il suo mare, c’è il sorriso di chi, alla materialità dei trofei, ha sempre preferito la bellezza dell’amore. 

Buon vaggio, Marinaio.

Racconto a cura di Simone Sebastiani

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