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Thomas Manfredini: "Io volevo fare il centrale!"

Manfredini, dal cantiere alla Serie A. L'ascesa dell'arcigno difensore ferrarese con la passione per i cavalli.
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Un doppio salto fulmineo

Prima a Ferrara, dagli allievi alla Prima Squadra. Poi a Udine, in serie A e in Coppa Uefa.

“Ho fatto due grandi salti nella mia carriera. A 16 anni passai dagli allievi regionali della Spal a fare il ritiro con la prima squadra, dove anche grazie alla regola che obbligava le squadre a schierare un under 20 riuscii a giocare qualche buona partita, tanto da meritarmi la chiamata della Nazionale di Serie C, con Boninsegna allenatore. Lì mi notò l’Udinese, e mi ritrovai così a giocare in serie A e in Europa. In quegli anni il livello era davvero molto alto, e io non avevo un vero e proprio campionato da titolare alle spalle, nemmeno in serie C. Questa cosa, alla lunga, l’ho un po’ pagata.”

Udine

L’esordio contro la Roma, l’arrivo di Hodgson e il primo grave infortunio.

“Il mio esordio è stata la miglior partita della mia carriera. Contro la Roma di Montella, Delvecchio, Cafu, Aldair. Era la Roma di Capello, che a fine anno vinse lo scudetto. Ero in una tale trance agonistica che non mi ricordo quasi nulla. Giocai talmente bene che la Roma andò a fine primo tempo dal nostro direttore sportivo per cercare di acquistarmi. La partita successiva giocavamo a Milano contro l’Inter, e persino Marcello Lippi venne a farmi i complimenti per l’esordio.

Hodgson era un allenatore con una visione molto inglese del calcio. Mi mise a fare il terzino, perché lui giocava solo a 4 dietro. E mi spiegò che all’Inter vendette Roberto Carlos perché non riusciva a bloccare i cross delle ali avversarie. Diciamo che non mi mise a mio agio con quell’esempio, ma mi fece capire bene cosa voleva da me

A Udine ebbi il primo grande infortunio della mia carriera. Io avevo giocato il torneo di Tolone con la Nazionale Under 20 di Gentile, assieme a gente come Bonera, Cassano, Iaquinta, Maresca. L’Udinese si era qualificata per l’Intertoto, che iniziava a fine giugno. Riposai solo una settimana, poi andai direttamente in ritiro. Ma fisicamente non ero pronto a reggere certi ritmi. Mi feci male alla caviglia, un infortunio dal quale non riuscii più a riprendermi pienamente.”

Bergamo

Un inizio difficile da vice-Bellini. Poi, un pomeriggio a San Siro con Del Neri allenatore, la tanto attesa svolta.

“A Bergamo dovevo sostituire Bellini, che doveva andare alla Lazio. Ma Colantuono lo volle tenere a tutti i costi. L’Atalanta era appena retrocessa in serie B, e non poteva permettersi di tenere in squadra tutti e due. Così dovetti andare in prestito per due anni, a Rimini e a Bologna. Oramai ero considerato un terzino, un ruolo che però non mi piaceva fare. Io lo dicevo agli allenatori “mister guardi che io sono un difensore centrale, se ha bisogno in quella posizione”. Ma loro non mi ascoltavano.

Quel pomeriggio a San Siro ci fu la svolta. Si fece male Talamonti, e Del Neri mi buttò dentro come centrale di difesa. Io non vedevo l’ora di tornare a fare il mio ruolo, ma non mi allenavo da anni in quella posizione. Alla fine andò bene, e da lì per me iniziò una nuova parentesi della mia vita calcistica.

Bergamo mi è rimasta nel cuore, ho fatto 6 anni bellissimi lì. Me ne andai solo per degli attriti oramai insanabili con il ds Marino. L’Atalanta per me ora è una delle 3-4 grandi del nostro calcio. Gasperini, che io ho avuto a Genoa, è un maestro: lavora molto duro in allenamento, ed è l’unico in Italia che accetta in difesa l’uno contro uno. Prendono qualche gol in più, ma in fase realizzativa hai una marcia superiore.”

Sassuolo

Un posto (troppo) tranquillo. E con Di Francesco il rapporto non decolla.

“A Sassuolo ho sofferto la mancanza di pressione. Passare da piazze come Bergamo e Genova a una squadra che era una specie di “isola felice” non mi ha permesso di rendere al meglio. Di Francesco poi non mi aiutò, mettendomi subito ai margini della squadra. Mi allenavo da solo, distante dai miei compagni. A 34 anni ero meno considerato dei magazzinieri.”

Vicenza

L’ultima grande chiamata. Un grande gruppo, una grande squadra, un grande rammarico, un bellissimo ricordo.

“Il Vicenza mi voleva già in estate, ma io volevo rimanere in serie A. Il Sassuolo non volle cedermi, così mi trasferii solo a gennaio. Scesi in serie B, ma per me Vicenza rimaneva la grande piazza in cui ero stato da avversario. Trovai un grande gruppo, e una grande squadra. Gente come Petagna e Spinazzola, che ora sono nel giro della Nazionale, facevano panchina.  Giocai spesso incerottato, ma mi sentivo responsabilizzato perchè ero uno dei “vecchi”. Fecimo una grande stagione, e sul più bello mi ruppi il tendine d’Achille, e fui costretto a saltare i play-off che poi perdemmo col Pescara. Ero talmente sicuro di andare in finale che la sera della semifinale ero in aereo di ritorno da Barcellona, dove ero andato per recuperare dall’infortunio. Quella mancata promozione rimane uno dei rimpianti della mia carriera. A Vicenza mi proposero anche di rimanere come dirigente, ma la società non era solida e non se ne fece niente.

Proprio a Vicenza mi lega uno dei più bei ricordi della mia carriera. Battemmo il Bologna al Dall’Ara 2 a 0, e al ritorno ci fermammo in autogrill. Trovammo i pullman dei tifosi che ci dicevano “GRAZIE”. Io non capivo di cosa mi stessero ringraziando. Io stavo facendo il mio lavoro. E capii che  a quella gente stavamo regalando un sogno. Nella mia carriera i tifosi mi hanno detto di tutto, dal “sei bravo, sei forte” al “sei scarso, fai schifo”. Ma solo quella volta lì ho sentito qualcuno dirmi “grazie”. Tutta la squadra quella sera capì che non si trattava solo di calcio, per Vicenza quella stagione era qualcosa di più grande.”

L’ultimo tentativo

A San Marino. Per tornare a sentirsi vivo.

“A San Marino andai perché il DS de La Fiorita era un mio amico. Ero fermo da 3 anni, soffrivo i campi sintetici e non giocai quasi mai. Io ero curioso di vedere come stesse il mio tendine. E poi dico la verità: mi mancava il calcio. Dopo una vita dedicata al pallone ero diventato un pensionato. E dopo un primo periodo di distaccamento totale, mi mancava lo spogliatoio, il campo. Giocare a calcio mi fa sentire vivo!”

I cavalli, che passione!

“Ai cavalli mi ha avvicinato il mio babbo fin da piccolo, mi sono sempre piaciuti. E mi piacevano anche i film dove li vedevo correre. La vita da calciatore mi ha permesso di coltivare questa passione e di fare ora l’allevatore e il driver. Quando giocavo non lo potevo fare per il rischio infortuni.”

Quello che il campo non mostra: l’uomo Thomas

“Ho un tatuaggio sulla schiena al quale sono molto legato. L’ho fatto dopo l’infortunio al tendine e ritrae San Michele Arcangelo, protettore dei guerrieri che combatte contro il male. Non sono mai stato una persona scaramantica; seguivo solo un iter particolare per fare riscaldamento, sempre quello. Mi dava sicurezza e mi faceva sentire pronto.”

La scuola non mi piaceva, odiavo i compiti a casa. Fatta la terza media a 14 anni sono andato a lavorare, facevo il muratore e consegnavo le pizze la sera. Guadagnavo 5mila lire all’ora. Il mondo del lavoro ti insegna tanto, lo devi provare sulla tua pelle. La scuola serve, ma non è tutto. E nella vita da professionista questo mio trascorso mi ha aiutato tanto.

Gli avversari più forti

Grandi campioni nella Serie A forse più bella e competitiva di sempre. Da Zidane a Vieri. E quei gomiti di Pazzini …

“Il giocatore più forte che ho affrontato è stato Zidane; faceva una cosa e tu la capivi un minuto dopo. Ma basterebbe prendere l’album delle figurine degli anni in cui ho giocato per capire il livello del calcio italiano di allora. Da Baggio a Shevchenko, da Adriano a Kakà. Una domenica in area di rigore saltai a vuoto e sentii una forte botta sulla schiena. Dopo di che sentii i tifosi avversari esultare. Riguardando l’azione la sera su 90esimo Minuto mi accorsi che Vieri mi aveva sovrastato di testa e fatto gol. Io lì per lì non mi ero accorto di nulla. Vieri era quasi immarcabile.

Pazzini è invece quello che mi ha fatto più arrabbiare. Saltava sempre col gomito largo, contro di lui prendevo sempre delle grandi legnate. Adesso queste cose non si possono più fare, si difende in maniera diversa. All’epoca in difesa giocavano mostri sacri come Maldini, Nesta, Stam, Cannavaro. Thuram era impressionante, sembrava non facesse nemmeno fatica. Tra i difensori di adesso pochi hanno quell’impronta lì, forse solo Chiellini e De Ligt.”

Quel burlone di Simone Inzaghi

“Simone Inzaghi a Bergamo mi faceva morire dal ridere. Faceva un sacco di scherzi, scommesse, soprattutto con i ragazzi più giovani. Mi fa molto strano vederlo ora tutto serio a fare l’allenatore, non lo avrei mai immaginato. Eppure è davvero bravo, con la Lazio sta facendo un grande lavoro.”

Il rapporto con gli allenatori

Tra chi lo ha capito subito e chi solo dopo.

“Ho avuto molti allenatori che in spogliatoio facevano tremare i vetri. Da Spalletti a Conte, lo stesso Gasperini quando si arrabbiava lo sentivi. Ma non ho mai assistito a nessuno scontro o rissa tra giocatori e allenatori. Molti pensavano che io in allenamento non mi impegnassi, ma era semplicemente il mio modo di essere. E molti di loro hanno riconosciuto dopo di non avermi capito appieno. Ora sto facendo il corso da allenatore e mi rendo conto che per un mister non è facile entrare nella testa dei giocatori.”

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