Francesco Moriero, Uno sciuscià in paradiso
La carriera calcistica di Francesco Moriero inizia in un lontano 15 marzo del 1987. Il ragazzo veste la maglia della squadra della città in cui è nato e cresciuto, Lecce, e per di più lo fa, per la prima volta da professionista, nella gara più infuocata dell’intera Puglia, il derby contro il Bari.
La stessa carriera terminerà 17 anni più tardi, nel 2002, quando Francesco gioca per il Napoli.
Oltre a quelli dei salentini e dei partenopei, Moriero vestirà i colori di sole altre 3 squadre: Cagliari, Roma e Inter.
Nessun cambio continuo di casacca, nessun trasferimento schizofrenico su e giù per l’Italia, nella delirante logica del calcio mercato.
Molto diversa la sua carriera da allenatore, iniziata nel 2006, e che prosegue ancora oggi, quando si è guadagnato un posto in paradiso, venendo scelto per guidare la Nazionale delle Maldive.
Perché nel frattempo, da Mister, ha girato 3 continenti, allenando la bellezza di 13 squadre in 15 anni. In un lungo viaggio, alla costante ricerca di nuove sfide, di progetti ambiziosi.
Ha fatto la gavetta vera Moriero. Lui, che da giocatore, come un bravo sciuscià, lucidava le scarpette del fenomeno Ronaldo dopo ogni gol. Ora può godersi quel posto in paradiso, che si è guadagnato e meritato.
Un esterno tutto destro
Esterno destro. Ma non uno di quelli esterni moderni, che gioca a destra a piede invertito per venire a giocare dentro al campo. No no. Moriero è tutto destro. E il suo compito è quello di fare su e giù lungo la corsia di competenza, per arrivare nei pressi dell’area di rigore e: o sfornare cross invitanti per i compagni o provare lui stesso la conclusione. Fondamentale in cui è particolarmente dotato.
A dire la verità, inizialmente, ai tempi di Lecce e Cagliari, Moriero fa più su che giù, scordandosi talvolta la fase difensiva. Poi a Roma trova un maestro come Carletto Mazzone, il quale gli fa notare che, per essere un giocatore completo, una mano dietro deve darla anche lui.
Per dirla in mazzoniano stretto: “Non c’è solo la zona 3, ce stanno anche la zona 1 e 2. Nun te lo scordà!”.
Proprio Mazzone riesce a dargli quella completezza che lo porta ad essere punto fermo, dal 97 al 2000, dell’Inter. Dove trova Ronaldo, al quale, dopo ogni gol, Moriero amava lucidare lo scarpino, come un vero sciuscià (napoletanizzazione dell’inglese “shoeshine”, letteralmente “lustrascarpe”, appunto).
E che lo porterà anche a far parte della spedizione azzurra, guidata da Cesare Maldini, ai Mondiali di Francia 98. Per lo meno fino a quando la palla calciata da Di Biagio dagli 11 metri non si infrange sulla traversa, e con lei tutti i nostri sogni di gloria.
Il motorino costato meno di un motorino
In pochi sanno, però, che lui all’Inter manco ci doveva andare! Anzi, aveva già firmato per il Milan.
E allora? Cosa accade?
Accade che all’inizio dell’estate del 1997 l’Inter raggiunga un intesa verbale con Andrè Cruz, difensore brasiliano del Napoli dal mancino educatissimo, che lo rendono letale nei tiri da fuori.
All’ultimo però, sul giocatore, irrompe il Milan di Silvio Berlusconi, che come detto ha nel frattempo già tesserato Moriero, proveniente dalla Roma ed erede designato di Roberto Donadoni.
Con uno dei suoi famosi blitz, tuttavia, Adriano Galliani strappa Cruz all’Inter, lasciando il presidente Moratti con il proverbiale pugno di mosche in mano.
Ma siamo ai tempi di un calcio romantico, di galantuomini. E quindi? E quindi accade che un senso di colpa pervada il club rossonero, dopo quello che in casa nerazzura definiscono un vero e proprio “scippo”.
E allora, come parziale compensazione, viene raggiunto un accordo: per la simbolica cifra di 1 milione DI LIRE Francesco Moriero va all’Inter.
Praticamente è costato ai nerazzurri meno di un motorino. Ma il vero motorino è quello che il laterale leccese accenderà sulla fascia destra, percorsa innumerevoli volte nel corso degli anni trascorsi con il Biscione.
Subito campione, ma… in Costa D’Avorio!
Nel 2002, dopo due annate povere di presenze a Napoli, Moriero chiude la carriera da giocatore, e comincia a studiare da mister.
Il suo intento è chiaro fin da subito: non vuole sfruttare il nome che si è costruito da giocatore per trovare subito una panchina importante. Non vuole bruciarsi, vuole farsi le ossa, a costo di cominciare dalle categorie più basse, a costo di dover addirittura cambiare paese.
Giunge un offerta addirittura dalla Costa D’Avorio per allenare l’Africa Sport ad Abidjan.
“In Africa? Ad allenare una squadra della cui esistenza dubitavo fino a 10 minuti fa? A parlare una lingua che non conosco? In un paese così particolare? Che idea stupida. Facciamolo!”
Moriero va in Costa D’Avorio, costruisce un club partendo da “sottozero” e lo porta, 40 anni dopo, a vincere il campionato.
In Italia l’eco di quell’impresa, ottenuta in appena un anno di lavoro, chissà perché non arriva. Ma tra gli addetti ai lavori il nome di Moriero comincia a circolare. Il telefono squilla, spesso. Ma Francesco attende.
Non ha cambiato modo di vedere le cose. Vuole l’occasione giusta.
Che pare proprio essere, almeno inizialmente, quella di Lanciano.
Le prime, dure, esperienze in Italia
In Abruzzo l’avventura di Moriero dura appena un anno. Trova un club in difficoltà, penalizzato di 8 punti in classifica, e non riesce a salvarlo dalla zona playout.
Va molto meglio l’anno dopo, quando riporta in serie B il Crotone del presidente Vrenna.
Poi subisce un esonero ingiusto a Frosinone,a 4 giornate dal termine con la squadra in zona salvezza. Prima di finire nel vortice di uno dei più grandi tra i “presidenti mangia-allenatori” del calcio italiano: Piero Camilli, il presidente del Grosseto.
Primo anno ed esonero già gennaio (sempre con la squadra in quota salvezza).
Dopo una fugace apparizione nel campionato svizzero, alla guida del Lugano, viene richiamato: contratto annuale, squadra con 7 punti di penalizzazione per illeciti amministrativi.
Altro esonero, stavolta a ottobre. Sulla panchina dei toscani i vari Magrini, Consonni e Menichini, tuttavia, non riescono a fare di meglio. Così a febbraio il presidente richiama Moriero, che, da bravo timoniere, guida la nave fino al definitivo, deprimente ma inevitabile, ultimo posto in classifica.
Sembra una carriera che stenta a decollare. Ma la grande occasione per Francesco sta arrivando. E arriva da un posto che conosce molto molto bene: LECCE.
L’amore ha l’amore come solo argomento
Ora, un qualsiasi altro allenatore, con raziocinio e lungimiranza, avrebbe probabilmente rifiutato la chiamata di QUEL Lecce.
Società in chiara difficoltà, squadra precipitata in serie C. La mancata promozione dell’anno precedente, poi, porta a una vera e propria rivoluzione tecnica. Salutano tanti tasselli importanti, come Esposito, Memushaj, Benassi, Inacio Pià, Jeda e Foti. Ma soprattutto, se ne vanno delle vere e proprie colonne portanti dei salentini, come Giacomazzi e Chevanton (per quest’ultimo, si scoprirà poi, si tratta in realtà di un “arrivederci”).
Ai riconfermati Bogliacino, Diniz e Gilberto Martinez vengono aggiunti dei giovani di prospettiva, come il portiere Perucchini e gli attaccanti Beretta e Zigoni. Poi ecco dei ragazzi in cerca di riscatto: da Rullo ad Amodio, passando per Bellazzini e Ferreira Pinto. La stella vera è Fabrizio Miccoli, che sarà il nuovo capitano.
Ma si sa: l’amore ha l’amore come sol argomento.
Uno come Francesco non può rifiutare Lecce e il Lecce. Oltretutto il dover ricostruire una squadra dalle fondamenta, facendola crescere passo passo è proprio il tipo di sfida che lui va cercando.
Accetta il guantone. Vince la prima di Coppa Italia contro i dilettanti piemontesi del Santhià, salvo poi beccarne 4 dal Parma ed uscire di scena.
L’inizio di campionato, poi, è un vero incubo: 4 partite, 4 sconfitte, contro Salernitana, L’Aquila, Benevento e Catanzaro.
Il 24 settembre arriva l’esonero più amaro, con Lerda richiamato a guidare i giallorossi.
Ma Francesco non si abbandona all’amarezza e allo sconforto di non essere riuscito ad esprimere il proprio potenziale nel club di casa. E riparte, di nuovo da capo.
Ripartenza e ricostruzione
Proprio il Catanzaro gli offre la chance di rimettersi in gioco. In Calabria le cose vanno molto bene, ma una partita persa male all’Arechi gli costa un nuovo, inspiegabile, esonero.
A Martina Franca si scontra con la società, e si dimette dopo solo due giorni.
Alla Sambenedettese paga caro, invece, un loop negativo in cui la squadra entra, dopo un inizio incoraggiante. Viene richiamato a fine stagione per disputare i playoff, ma l’eliminazione ai quarti di finale contro il Cosenza (che poi quei playoff li vincerà) lo portano di nuovo alla ricerca di un incarico.
Nemmeno alla Cavese ha il tempo di esprimersi, dal momento che viene esonerato dopo sole 4 partite.
Finisce dunque in Albania, alla Dinamo Tirana. Lui allenatore e Fabrizio Miccoli come vice. Lasciano entrambi la squadra al primo posto in classifica rassegnando le dimissioni.
“Non c’erano più le condizioni” spiegheranno poi. Alla Dinamo non bastava fare l’allenatore, in un ambiente che di professionistico ha ben poco.
La chiamata che non ti aspetti
Il 19 ottobre 2021 il nome di Francesco Moriero torna in auge nel mondo di internet e dei social, per via della sua nomina come selezionatore delle Maldive.
Chi non conosce la storia dello Sciuscià pensa che sia solo un “buen retiro”, un posto dove guadagnare due palanche e sollazzarsi in spiagge che spesso utilizziamo come screen-saver dei nostri smartphone.
La realtà è ben diversa. È una sfida, come piace a lui. Particolare, difficile, ma proprio per questo affascinante e intrigante.
Nessuno gli chiede obiettivi materiali (e come potrebbe essere altrimenti, mica possono pensare di far arrivare le Maldive ai Mondiali). Gli chiedono di far crescere un movimento, più che una singola squadra. Di far risaltare quei giocatori che ci sono tra gli atolli, nella speranza che qualcuno, chissà, riesca a sfondare nel calcio che conta.
Gli chiedono di preparare la partita contro lo Sri Lanka per far fare la miglior figura possibile alla squadra. I ragazzi di Moriero vanno sopra 4 a 0, ma un poker di tale Waseem Razeek livella il risultato al minuto 92.
Le Maldive però hanno dato segnali incoraggianti. C’è margine per migliorare. Grazie soprattutto al lavoro di Moriero.
Che ha fatto la gavetta, quella dura. Che ha mangiato la polvere dei più disparati campi di provincia.
E che ora può godersi quel posto in paradiso, che si è sudato e guadagnato.
Perché è vero che c’è molto da lavorare. Ma un tuffetto ogni tanto in quel mare… vuoi mettere?