Paul Gascoigne, il genio fragile
Italia ’90 è stato il Mondiale delle “notti magiche”, quello che avrebbe dovuto tingersi d’azzurro, quello che ha mostrato al mondo la forza del nostro movimento calcistico.
È stato anche il torneo che ha consacrato la classe di alcuni dei più importanti protagonisti degli anni Novanta. Tra questi, un numero 19 inglese destinato — almeno sulla carta — a diventare un fuoriclasse: Paul Gascoigne.
Gli inizi: Newcastle, l’esplosione e Italia ’90
Paul Gascoigne nasce nella contea del Tyne and Wear che ha in Newcastle United e Sunderland le squadre più rappresentative, ma è con i magpies che “Gazza” inizia la sua carriera: è un grande tifoso del club e spesso va nel mitico Saint James Park. Ha 13 anni quando parte dalla nativa Gateshead per entrare nel settore giovanile del Newcastle, ne ha ventuno quando lo lascia.
Centrocampista che sa dove stare e cosa fare in campo, Gascoigne gioca in prima squadra tre anni entrando come uno dei trascinatori alla vittoria della FA Youth Challenge Cup, il più prestigioso trofeo giovanile inglese, con la formazione “Primavera”. Le squadre in quel periodo (tra il 1986 ed il 1991) stanno pagando la squalifica dalle competizioni europee per i fatti dell’Heysel, ma il calcio inglese (ed europeo) sta scoprendo il talento di questo ragazzo che gioca con personalità ed in mezzo al campo sa il fatto suo, anche se non sembra avere il phisique du rôle essendo spesso fuori forma perché goloso di junk food.
“Gazza”, come lo chiamano tutti, è innamorato calcisticamente di Kevin Keegan, il più forte giocatore inglese degli anni ’70, che decide di chiudere la carriera proprio con il Newcastle: Keegan contribuisce subito al ritorno del Newcastle in First Division dopo sette anni. Gascoigne lo studia, cerca di capirlo per trarre dalle sue giocate il quid necessario per emergere. Gascoigne esplode e deve ringraziare Jack Charlton, mister magpies nella stagione 1984/1985, che crede in lui e lo mette al centro del “progetto”: questo serve a “Gazza”, ovvero uno che creda in lui e che lo obblighi a rimettersi in riga fisicamente e psicologicamente. Il Tyne and Wear al giovane Paul sta stretto, mentre Londra sa che può dargli tanto e per questo firma con il Tottenham. Gascoigne con la maglia “lilywhites” ha un obiettivo: far dimenticare a tutti il Gascoigne “uomo” rispetto al Gascoigne “calciatore”, una persona con diversi problemi personali ed umani.
Gascoigne nel club del North London rimane dal 1988 al 1991 e in quei tre anni con in squadra compagni come Lineker, Hughton, Nayim, Waddle e Stewart diventa un giocatore fantastico. Ovviamente non mancano le intemperanze e la sua (lucida) follia, ma in campo si manifesta come quello che è: prestanza fisica, tattica, tecnica e una padronanza del tiro con pochi eguali in Inghilterra. Per questo motivo Bobby Robson lo convoca in Nazionale e lo fa debuttare il 14 settembre 1988 in amichevole contro la Danimarca. Obiettivo: convocazione per Italia ’90.
La Nazionale inglese in Italia si presenta in forma smagliante: ha talento, classe, forza e spregiudicatezza e vuole vincere la Coppa del Mondo. Gascoigne è il giocatore più rappresentativo della Nazionale dei Tre leoni e disputerà un Mondiale fantastico, anche se la Nazionale inglese perderà la semifinale contro la Germania Ovest. L’Inghilterra perderà ai rigori (come l’Italia) e arriverà quarta perdendo contro gli azzurri la “finalina” di Bari. Del match perso contro i tedeschi occidentali allo stadio “delle Alpi” rimarranno nella memoria le lacrime di disperazione dello stesso Gascoigne: diffidato, prenderà un “giallo” per un fallo su Berthold che gli avrebbe impedito di giocare la finale mondiale, il sogno di tutti. Per la delusione, non si presenta dal dischetto per la lotteria dei rigori: troppo forte il sentimento di rabbia e frustrazione.
In quel Mondiale “Gazza”, maglia numero 19 sulla schiena, si afferma come uno dei giovani più promettenti del calcio mondiale, ma quelle lacrime rimarranno indimenticabili. Poco importa: nasce la “Gazzamania” ed è incredibile pensare che solo sei anni prima Charlton lo aveva minacciato di cacciarlo via dal Newcastle se in due settimane non si fosse messo in riga fisicamente.
Con il Tottenham, Gascoigne vince una FA Cup e proprio questo è il momento più alto della sua carriera. Unica nota dolente (ma grave) è che durante la finale contro il Nottingham Forrest si rompe il ginocchio destro, sta fuori una stagione intera e perde la convocazione per Euro ’92. La First Division gli sta stretta e, complice gli strascichi (positivi) della “Gazzamania”, Gascoigne nell’estate 1992 lascia una capitale per un’altra: firma con la Lazio del presidente Calleri. La Serie A avrebbe abbracciato il talento indiscusso in campo (ma molto discusso fuori) di Paul Gascoigne.
Lazio: un amore tra magie e follie
La Lazio allora non è un top team della Serie A: uno scudetto ed una Coppa Italia rappresentavano il palmares dei biancocelesti fino a quel momento. Troppo poco per fare paura alle squadre europee e troppo poco anche rispetto all’acerrima rivale del club, la Roma. Ma nell’estate ‘92 il club laziale decide di darsi una mossa e, con il passaggio di consegne tra Calleri e Cragnotti, inizia a fare sul serio portando nella “città eterna” calciatori come Winter, Cravero, Fuser, Signori e, appunto, Gascoigne.
Il centrocampista di Gateshead doveva arrivare già l’anno prima, ma l’infortunio nella finale di FA Cup complicò tutto. La Lazio diventa il centro mediatico del nostro calcio grazie al tesseramento di un potenziale crack, quello che avrebbe portato la Lazio al tavolo delle grandi. L’arrivo di “Gazza” è da superstar, con migliaia di tifosi pronti per vederlo dal vivo all’aeroporto quanto a Formello quanto all’Olimpico.
Gascoigne debutta in maglia laziale il 27 settembre 1992 alla quarta giornata contro il Genoa e la prima rete arriva all’undicesima, la più attesa dai tifosi di Lazio e Roma: domenica 29 novembre, il derby della capitale. Gascoigne ai derby è abituato (leggasi il derby del Tyne and Wear contro il Sunderland o il derby del Nord di Londra contro l’Arsenal) e al minuto 86 gonfia la rete: gol del pareggio di testa sotto la Curva Nord, feudo del tifo laziale. E’ abituato a partite toste, è abituato a non guardare in faccia l’avversario, è abituato a giocare partite importanti eppure dopo il gol si mette a piangere per l’emozione provata.
Gascoigne rimane in biancoceleste tre stagioni, ma a parte la prima le altre sono fallimentari. La Lazio non riesce a fare il salto di qualità, ma “Gazza” delude tantissime le attese anche perché rimane fuori diverso tempo per via di un infortunio accadutogli in allenamento il 7 aprile 1994 durante uno scontro di gioco con l’allora capitano della Primavera laziale, Alessandro Nesta, che lo tenne tanto tempo. L’ultima soddisfazione di “Gazza” in biancoceleste è ancora un derby, vinto 2-0 dai ragazzi di mister Zeman il 23 aprile 1995. Subentra a Signori negli ultimi 15 minuti: esce il miglior acquisto della Lazio degli ultimi tre anni, entra il peggior acquisto della Lazio degli ultimi tre anni.
Nell’estate 1995, dopo solo tre stagioni, Gascoigne lascia la capitale: in questo lasso di tempo gioca sempre meno e segna altrettanto. Un’esperienza negativa in campo, ma caratterizzata da comportamenti troppo sopra le righe da parte del giocatore, facendo esasperare i compagni quanto Dino Zoff, poco abituato ad allenare giocatori sui generis come lui. Una serie di situazioni tra il grottesco e l’irriverente che rendono Gascoigne un personaggio e non più solo un compagno di squadra. Purtroppo negli ultimi anni però inizia a consumare alcol, tanto alcol.
Arriva per Gazza l’occasione di giocare con i gloriosi Glasgow Rangers. E la sua carriera sembra tornare ancora in alto.
La rinascita in Scozia: la versione migliore dopo il Tottenham
Gli anni romani sono deleteri per “Gazza”: ha ancora davanti a sé altri anni di carriera, ma deve riprendere in mano il suo destino. Magari in un’altra Nazione, magari in un campionato non di alto profilo dove continuare a giocare senza problemi. Ed è per questo che nell’estate 1995 Gascoigne riparte dalla Scottish Premier Division: si fanno avanti i Glasgow Rangers di coach Smith che staccano un assegno da oltre 4 milioni di sterline e portano il talento di Gateshead a Ibrox Park. Nella capitale scozzese Gazza torna ai livelli del Tottenham, forse meglio, in quanto in tre stagioni vince due titoli nazionali, una Coppa di Scozia ed una Coppa di Lega, segnando trentanove reti. I primi due anni sono top: doppia cifra in classifica marcatori (mai raggiunta fino a quel momento in carriera), assist man prezioso e faro di una squadra che, insieme ai “cugini” dei Celtic, dettava il calcio scozzese. E le sue performance in maglia “gers” non passano inosservate, visto che nell’estate 1996 l’Inghilterra ospita gli Europei di calcio e la Nazionale dei Tre Leoni, guidata da Venables, deve rifarsi della mancata partecipazione ai Mondiali del 1994.
Paul Gascoigne è imprescindibile in quella Nazionale che è in una fase di rinnovo grazie ai propri giovani talenti (i fratelli Neville, Redknapp, McManaman e Anderton) e guidati in attacco da Shearer: i Tre leoni arrivano in semifinale, sconfitti dalla Germania ai rigori come sei anni prima a Torino durante il Mondiale. Eppure all’inizio c’è polemica intorno Nazionale di Sua Maestà perché dopo una tournée in Asia, alcuni calciatori sono stati immortalati davanti ad un pub seduti immobili, quasi fossero molto alticci. Gazza ovviamente è in quel pub. Gascoigne, che nella sua carriera ha sempre alzato più del solito il gomito, coglie la palla al balzo: il 15 giugno 1996 segna un gol bellissimo con un pallonetto in area su Colin Hendry e batte Andy Goram con un tiro al volo di destro.
Il numero 8 inglese si getta poi per terra come fosse un paziente seduto sulla sedia di un dentista, i compagni prendono una borraccia piena d’acqua e gliela svuotano in bocca: grande presa in giro verso chi contestava quella Nazionale. L’azione di quel gol è ancora oggi cliccatissima su Youtube.
Gascoigne manterrà livelli alti fino al 1998: l’Inghilterra si qualifica a Francia ’98, Gazza è sul pezzo ma il Ct Hoddle non lo ritiene sul pezzo e non lo porta al Mondiale. Lasciati i Rangers, Gascoigne giocherà poi tre stagioni con il Middlesbrough per poi vestire per due anni la maglia della sponda azzurra di Liverpool (l’Everton) e metà stagione con il Burnley. Poi va in Cina nel Ningbo Yaoma e chiude con cinque presenze con i dilettanti inglesi del Boston United.
Siamo nel 2005, Gazza ha 38 anni e decide di dire addio al calcio. Una carriera che ha avuto più bassi che alti perché si pensava che Gascoigne avrebbe potuto fare molto di più. Uno dei tanti “what if”, uno che se avesse avuto una vita extracalcio più da professionista sarebbe potuto entrare nel novero dei giocatori più importanti di sempre.
Una vita a tu per tu con la morte
Uno dei tanti problemi di Gascoigne è l’essere stato sempre un burlone, una macchietta e uno poco propenso alla dedizione: il suo grosso problema è l’alcolismo cronico. Sin da ragazzo ha sempre avuto un rapporto “amicale” con le pinte e con il bicchiere, ma dopo gli anni di Glasgow questo è peggiorato tanto da avere (alla fine) impedito al calciatore di esprimersi al meglio delle sue potenzialità. A partire dal suo ritiro, Gascoigne è spesso finito sui giornali come il ricovero (nel maggio 2007) per un’operazione urgente allo stomaco per via di un’ulcera perforante e nove mesi dopo è stato ricoverato in ospedale in quanto, in base ad una legge inglese (il Mental Health Act) e dopo aver dato di matto in due hotel e diventato un pericolo per l’incolumità altrui. Gli viene diagnosticato un bipolarismo a maggio 2008 e poco tempo tenta il suicidio. Una vita borderline condita da risse e arresti dovuti al suo essere molesto con tutti dopo che ha bevuto, unito a sparizioni e possesso di droga.
Eppure nella Roma laziale nessuno ha dimenticato Gascoigne ed il 22 novembre 2012, prima del match tra Lazio e Tottenham della fase a gironi di Europa League, Lotito lo chiama in città e lo porta dentro lo stadio dove tutto l’Olimpico gli tributa una standing ovation.
Nelle ultime apparizioni, Gazza appare molto invecchiato (non sembra neanche avere gli anni che ha), sciupato, scavato in volto con pochi capelli e occhi non sereni. Non sembra l’ex calciatore che ha fatto sognare gli inglesi tra la metà degli anni ’80 e la metà dei ’90, ma un uomo segnato dalla vita e dai suoi demoni interiori.
Racconto a cura di Simone Balocco