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Mark Noble, Mister West Ham

Gli Hammers hanno annunciato ieri il ritorno dello storico capitano nel club. Mister West Ham sarà il nuovo DS. Il giusto ruolo per chi ha, da sempre, dedicato un'intera vita a quei colori, a quella maglia.
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Mark Noble - Illustrazione Tacchetti di Provincia

Dal 23 maggio, data della sua ultima apparizione da professionista con la maglia del West Ham, chissà quante volte Mark Noble si sarà ritrovato seduto su una sedia, con la testa tra le mani, a pensare, come qualsiasi uomo che si ritrova a dover fare i conti con le proprie fragilità, le proprie debolezze.

Lui, che a quella gloriosa maglia ha dedicato tutta una carriera, tutta una vita, ora deve trovare un modo per continuare a servirla ancora. Non ce la fa a stare senza quei colori. Come se avesse delle faccende in sospeso.

È di ieri la notizia del ritorno, di colui che per tutti oramai è semplicemente Mister West Ham, nel club dell’East London. Sarà il nuovo direttore sportivo. Ruolo nemmeno troppo in voga oltre Manica, ma poco importa.

Ci sono dei legami che non conoscono confini né di tempo né di spazio. Non esiste età, non esiste distanza. Rimangono, indelebili. E quello tra Mark e il West Ham è proprio uno di quelli.

Il ragazzo del quartiere

Il piccolo Mark cresce proprio lì, nella parte est della capitale.

Fin da bambino impara a conoscere il profumo di fritto che si respira lungo Green Street, man mano che ci si avvicina ad Upton Park, durante il match day.

Fin da bambino gli spiegano che, a Londra, non esiste altra squadra che meriti di essere considerata, amata e sostenuta. Tantomeno quella che si tifa dall’altra parte del Tamigi, nell’Isola dei Cani (il Millwall ndr).

Fin da bambino sogna di diventare un eroe in maglia clarets and blue. E inizia il suo percorso proprio dalle giovanili del club, fino all’esordio tra i professionisti, avvenuto il 24 agosto 2004, durante un match di Coppa di Lega contro il Southend.

Poi gli spiegano che è necessario che vada altrove a farsi le ossa. Se vuole essere un leader di una squadra così ambiziosa, deve prima imparare e dimostrare di poter essere un calciatore vero.

Due anni di prestito, prima all’Hull City e poi ad Ipswich, con cui realizza anche il suo primo gol della carriera, vestendo maglie che però, alla fine, non sente fino in fondo come “sue”.

Here to stay

Quando torna al West Ham, nella pre-season del 2007/08, Mark dà a tutti l’impressione di poter diventare il giocatore che effettivamente poi è stato.

Mediano polivalente, di tecnica e agonismo. Bravo sia a spezzare che a costruire il gioco. Ottimo per visione di gioco, intelligenza tattica e precisione nei calci piazzati. Per il calcio inglese, un ottimo biglietto da visita.

Mister Alan Curbishley decide di dargli un’opportunità, inserendolo in pianta stabile nel giro della prima squadra.

Da quel momento non se ne andrà praticamente mai più.

In FA Cup, contro il Brighton, realizza anche il suo primo gol con gli Hammers. Ne segnerà altri 61 durante il suo percorso al West Ham. Uno più bello dell’altro. Su rigore, punizione, al volo, a volte addirittura di testa.

Il capitano della transizione

In innumerevoli anni di fedeltà, si alterna tra l’essere un assoluto protagonista a semplice comprimario.

Tante panchine, soprattutto all’inizio. A veder giocare al posto suo gente che sembra deturparla, quella maglia, invece che coccolarla per potarla alla gloria, come avrebbe invece fatto lui.

Rimane tuttavia al suo posto, in silenzio. A lavorare sodo, per inseguire i propri obiettivi, che spesso collimano esattamente con quelli del club.

Se cercate, oggi, una dichiarazione piccata o al veleno, detta da Mark Noble a mezzo stampa, risparmiate il vostro tempo: non la troverete.

Anche grazie a questo atteggiamento si guadagna, a furor di popolo e di spogliatoio, la fascia di capitano. Che non lascerà più fin proprio a quel 22 maggio del 2022, giorno del ritiro.

Per tutto il popolo Hammers rimarrà nella storia come uno dei capitani più iconici del club. Non tanto per trofei vinti, in una bacheca che, ad oggi, è rimasta ancora miseramente vuota.

Quanto perché è colui che ha preso per mano il West Ham nel periodo di difficile transizione, dallo storico Upton Park (o Boleyn Ground che dir si voglia) al più moderno e mal concepito Stadio Olimpico di Londra, dove tuttora gli Hammers giocano le proprie gare casalinghe.

Un momento cupo per tutti i tifosi, che mai avrebbero abbandonato lo storico impianto. Per quanto vetusto e, forse, inadatto, restava comunque “casa”, dove le bolle regnano sovrane, prima durante e dopo ogni partita.

Il posto dove ogni avversario ha paura di andare a giocare. “Campo difficile, trasferta complicata, sarà dura fare punti lì” dicono tutti.

Mark soffre, come tutti. Ma cerca di far capire al suo popolo che il West Ham è un bene superiore. Anche se giocasse in Siberia, o nel deserto del Sahara, il club va supportato e seguito.

Il popolo Hammers capisce che, con lui alla guida, non c’è niente di cui aver paura.

Un cerchio che si chiude

Gli ultimi anni di carriera sono segnati da tanti, troppi infortuni.

Troppi soprattutto per chi sente il bisogno fisiologico di essere indispensabile per il club. Altrimenti meglio farsi da parte, e lasciar posto a chi ne ha di più.

Proprio per questo motivo, Mark decide in totale autonomia di dire stop. Senza che qualcuno glielo imponga, prima che qualcuno glielo dica.

A costo di sprofondare nella depressione più totale, di sentirsi vuoto dentro al pensiero di non vestire più quella maglia, di non vedere più quella curva. Ma il West Ham è un bene superiore, come ha sempre pensato per tutta la sua carriera.

Il 22 maggio gioca gli ultimi 9 minuti, contro il Brighton. Guarda il destino, proprio la squadra contro la quale anni prima segnò il primo gol. Segno di un cerchio che si chiude.

Uno scampolo di partita, giusto per ringraziare e dire a tutti quanto è stato bello. E giusto per prendersi una meritata ovazione da parte della sua gente.

Il 21 settembre del 2022, esattamente 4 mesi dopo quel pomeriggio di lacrime e saluti, il West Ham ne ufficializza il suo ritorno nel ruolo di Direttore Sportivo.

Dovrà fare dietro una scrivania quello che, alla fine, ha sempre fatto in campo e nello spogliatoio: dirigere ed organizzare la squadra; anteporre gli interessi del club a quelli del singolo giocatore.

E chi meglio di lui potrebbe farlo?

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