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Dennis Wise, L’assassino col papillon

Rude, scontroso, rissoso. Ma qualitativamente imprescindibile. Cosa ci fa Dennis Wise a Como? Per capirlo bisogna andare indietro nel tempo. Fino a quella Crazy Gang che fece impallidire la principessa.
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Dennis Wise - Illustrazione di Tacchetti di Provincia

Una delle immagini che quest’ultimo week end di calcio ci lascia in eredità vede i giocatori del Como festeggiare, sotto il settore ospiti, la vittoria esterna ottenuta sul campo del Brescia, in un derby lombardo che non si vedeva da tanto tempo.

Merito della risalita dei lariani nelle categorie nobili del nostro calcio, con il club ora in mano a un ambizioso pool londinese.

Gli stessi giocatori comaschi, perciò, quando devono discutere rinnovi contrattuali o cessioni, si devono accomodare ora ad una scrivania, all’altro capo della quale siede un signore inglese piuttosto tarchiato.

Ma guai a farsi ingannare, sia dalla giacca e cravatta che oggi quotidianamente indossa, sia dai modesti 168 centimetri di altezza.

Quel signore infatti è nientemeno che Dennis Wise. E per tanti anni è stato l’autentico terrore delle metà campo britanniche nel campionato più bello del mondo.

La Crazy Gang ai tempi di Wimbledon

Per capire come sia finito Dennis Wise in riva al Lago di Como bisogna partire da molto più distante.

Dal 1988. Quando un gruppo di falegnami travestiti da calciatori riesce nell’impresa di sollevare la prestigiosa FA Cup sotto il cielo di Wembley. Battendo l’onnipotente Liverpool e mettendo in imbarazzo anche la principessa Diana, costretta a consegnare la coppa a questa banda di matti.

È il Wimbledon di Bobby Gould, anche se la storia li conoscerà per sempre come la “Crazy Gang”. Una squadra riuscita a sovvertire le gerarchie del football a suon di cazzotti e pedate.

Tanto, a volte troppo, agonismo e spazio alla qualità solo se strettamente necessario.

E a dominare, nel centrocampo dei Dons, oltre al killer Vinnie Jones e al nordirlandese Lawrie Sanchez, c’è proprio Dennis Wise.

Di statura minuta, classico baricentro basso. Giocatore che non conosce il timore reverenziale.

Corre a perdifiato, riuscendo a coprire porzioni gigantesche di campo con energie misteriose. A Wimbledon gioca esterno, nello scolastico 4-4-2 di Gould. Ma ben presto si scoprirà che il ragazzo rende molto meglio quando gioca dentro al campo.

Generoso come pochi, mai disposto a tirare indietro il piede. O la palla o l’uomo, pazienza se non piace.

Ma anche, e soprattutto, tanta tanta qualità. I tackle duri e i contrasti al limite del codice penale non danno l’idea della caratura tecnica di questo ragazzo, cresciuto a pochi metri dallo Stamford Bridge, col sogno, un giorno, di vestire la maglia del suo amato Chelsea.

Finalmente Chelsea!

Il sogno si avvera il 3 luglio del 1990. I blues sborsano 1,6 milioni di sterline per riportare a casa il ragazzino.

La sua sarà un’autentica egemonia. Al Chelsea rimane 10 anni, molti dei quali vissuti da capitano.

Alla fine le presenze saranno 332  (settimo nella classifica hall-time del club londinese). 52 invece le reti, alcune delle quali semplicemente sensazionali.

Vedasi ad esempio la rovesciata con cui pareggia i conti contro lo Sheffield Wednesday, o la rete con cui castiga il Milan in Champions nel ’99. 

Il gol di Dennis Wise al Milan in Champions League con la maglia del Chelsea

Dennis Wise insegna ai londinesi, e ai britannici in generale, l’arte di “legare il gioco”. Oggi lo si definirebbe un tuttocampista. La verità è che non lascia scoperta nemmeno una zolla del terreno di gioco. Recupera palloni a quantità industriali, e non disdegna di buttarsi in area per andare a finalizzare, di tanto in tanto.

Battezza insomma quel ruolo che, molti anni dopo, Ngolo Kantè sublimerà, portando i Blues a vincere praticamente tutto ciò che c’è da vincere.

Il contraltare sono i tanti, troppi, cartellini e i numerosi episodi con i quali spesso tende a uscire dalle righe. Il pugno che sferra a un tassista londinese a momenti gli costa il posto in squadra.

Non è, in tal senso, di grande aiuto la re-union con Vinnie Jones, suo ex complice ai tempi delle scorribande di Wimbledon, che nel 1991 si veste pure lui di Blues, salvo rimanerci, fortunatamente per gli esteti dello sport, solo per un anno.

Timoniere di un gruppo vincente

Le cose cambiano con il crescere delle ambizioni del Chelsea Fc. Dalla metà degli anni Novanta i blues cominciano a condurre dei mercati di un certo spessore, che portano oltretutto in riva al Tamigi tanta Italia. Da Vialli a Di Matteo, passando per Casiraghi e, soprattutto, Gianfranco Zola.

Il Chelsea comincia a inserirsi nelle squadre di testa, e a portare a casa titoli. Prima un FA Cup, poi addirittura una Coppa delle Coppe e una Coppa di Lega nella stessa stagione.

Di questa squadra Wise è il leader indiscusso. Ora davanti di talento ce n’è in abbondanza, libero di sprigionarsi anche perché, tanto, se si perde palla ci pensa lui. Assume i galloni di capitano e si carica la squadra sulle spalle, conducendola in battaglie epiche.

Inevitabile, per qualsiasi suo compagno, trovare ispirazione in un personaggio così. Quando lo vedi andare “muso a muso” con quello spilungone di Vieira, che gli dà quasi 30 centimetri di differenza, senti l’adrenalina pulsare nelle vene.

Tra le lacrime abbandona il suo Chelsea, ora passato nelle sapienti mani di Claudio Ranieri, nel 2001 per passare al Leicester, pronto ad affrontare i suoi affetti da avversario per la prima volta.

Dennis Wise, leggenda del Chelsea

Leicester e Millwall. Ombre e luci.

Ma con le Foxes le cose filano tutt’altro che lisce. Il ragazzo, già di per sé tormentato, lontano da casa smarrisce determinate sicurezze e perde il controllo.

Il suo lato oscuro riprende il sopravvento quando spacca la faccia a Callum Davidson, suo compagno di squadra, venendo immediatamente cacciato.

Ma trova un club che pare disegnato su misura per lui pronto a dargli una chance.

È il Millwall. Il connubio appare perfetto: un giocatore che molti chiamano “assassino” a guidare una squadra la cui tifoseria semina da anni il panico in tutto il regno per le continue intemperanze.

Con i Lions Wise va vicino a scrivere una delle pagine più belle della storia, sua e del club. Diventa subito allenatore, oltre che giocatore.

E dopo che, in un match di campionato contro lo Sheffield United, si auto-mette in campo al minuto 84 salvo farsi buttare fuori per un entrataccia 4 minuti dopo (alla faccia del buon esempio), nel 2004 conduce i suoi ragazzi fino al Millennium Stadium di Cardiff, per giocare (in assenza di Wembley) la finale di FA Cup contro il potentissimo Manchester United.

L’impresa non riesce, troppo forti i ragazzi di Sir Alex. Ma il Millwall si permette il lusso, l’anno successivo, di giocare le coppe europee pur militando nella serie B inglese. Robe da pazzi. Robe da Dennis Wise.

Il nuovo Wise

Dopo un altro paio di esperienze con il Southampton e il Coventry, appende le scarpe al chiodo per ritentare nuovamente la carriera da allenatore.

Benino sia con lo Swindon Town che con il Leeds, sempre con al proprio fianco il fido compare Gus Poyet, ex compagno dei tempi in blues.

D’un tratto, nel 2008, l’improvvisa virata. Lascia la panchina di Elland Road per diventare uno dei primi direttori sportivi del calcio inglese, che da sempre ha visto l’allenatore come manager factotum, anche in sede di costruzione della squadra.

Nel 2009 lascia l’incarico, e di lui per un po’ si perdono le tracce.

Fino al 2019. Quando la SENT Entertainment, la società londinese che possiede il rinato Como 1907, lo nomina amministratore unico del club.

Good luck presidente!

Ed eccoci di nuovo qua, a Brescia.

Con i giocatori lariani sotto la curva a festeggiare il successo, sicuramente ispirati anche dalle gesta del loro presidente.

Un giocatore da molti definito come “assassino”, ma che in realtà di qualità ne aveva da vendere. E che ha fatto la fortuna della sua squadra del cuore, ponendo le basi per i successi recenti.

In un film per ragazzi degli anni ’90, “Piccola Peste”, la nemesi del giovane protagonista è un ex galeotto, appena evaso, che si distingueva per indossare sempre un papillon.

Nel caso di Wise al massimo c’è una cravatta, in puro stile british. Ma anche qua, come nel film, vietato farsi ingannare dal bell’aspetto.

Dietro quella scrivania, dietro quello sguardo profondo, si nasconde ancora il terrore di ogni centrocampista che abbia militato in Premier League negli anni ’90.

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