Andrea Dossena, i quattro giorni fatali
Per Andrea Dossena quattro giorni possono sembrare pochi, per vedere realizzati i progetti di una vita piuttosto che di una carriera. Se anche ciascuno di noi provasse a immaginare di dare fondo alle proprie energie in 96 ore per provare a ottenere ciò che vuole, difficilmente l’alba del quinto giorno troverà soddisfatto il nostro spirito.
Eppure la storia ha insegnato che quattro giorni possono essere tanti, a volte un’eternità. E in quattro giorni è possibile eccome ribaltare gli equilibri precostituiti, cambiare il corso degli eventi, oppure semplicemente smuovere situazioni che parevano irrimediabilmente statiche.
I quattro giorni tra il 27 e il 30 settembre 1943 valsero a Napoli la medaglia d’oro al valor militare, per la sommossa dei civili che liberò la città dall’occupazione della Wermacht. Nel 1898, invece, a Milano scoppiò la rivolta del pane, con una protesta che verrà imitata e seguita da altri comuni italiani nei giorni seguenti.
Anche la vita di un professionista può cambiare radicalmente in così poche ore. Lo sa bene Andrea Dossena, che dalle ore 21:28 del 10 marzo 2009 passò i quattro giorni che consacrarono per sempre la sua carriera, fatta di sacrificio, di polmoni svuotati, di botte prese e date, di duro lavoro per migliorare sempre. Un momento tanto effimero, quanto indimenticabile.
Il lodigiano mancino
La rincorsa di Andrea Dossena parte da Lodi, dove è nato l’11 settembre 1981, e dove con la maglia del Fanfulla inizia il proprio percorso calcistico, che a livello giovanile lo vedrà poi proseguire all’Hellas Verona, la squadra che lo lancerà nel calcio che conta. In Seria A.
Mancino puro, in grado di ricoprire tutti i ruoli della fascia sinistra.
Nel 2005 vive il sogno del Treviso, ritrovatosi in Serie A dopo l’estromissione del Genoa. Una stagione appena, quanto basta per dimostrare di poterci stare nella massima serie.
Il passaggio all’Udinese, l’università del calcio italiano, dove diventa perno inamovibile dello scacchiere di Galeone prima e di Marino poi. Nel 2007 corona pure il sogno di esordire in maglia azzurra, convocato da Donadoni per un’amichevole contro il Sudafrica.
Luglio 2008: arriva la classica chiamata che non puoi rifiutare. Lo vuole Rafa Benitez in Premier League. Si vola a Liverpool, a giocare con la maglia dei Reds.
Un sogno chiamato Liverpool
Inizia come riserva di Fabio Aurelio. Ma presto, complice l’infortunio (e le non eccelse prestazioni) del brasiliano diventa titolare. Non sarà il Liverpool più forte della storia, ma in quella squadra ha l’opportunità di giocare con gente del calibro di Steven Gerrard, Fernando Torres, Xabi Alonso, Javier Mascherano. Bastano solo i nomi per sentire la pelle accapponarsi. E poi è Liverpool. È Anfield. Trovatelo voi un posto al mondo più bello di questo in cui giocare a calcio.
E veniamo al fatidico 10 marzo 2009. Ad Anfield si gioca il ritorno degli ottavi di finale di Champions League. Liverpool contro Real Madrid, e Reds avanti 1 a 0 dopo l’andata, giocata al Bernabeu.
Andrea parte in panchina. A sinistra gioca Fabio Aurelio.
Il match è epico: 90 minuti che entreranno nella gloriosa storia del club del Merseyside. Un Liverpool straripante ne picchia 3 in 47 minuti a un inebetito Real. Prima El Nino Torres, poi Capitan Gerrard, due volte.
Al minuto 84', Benitez toglie Torres per concedergli la meritata standing ovation. Dentro Andrea, col solo compito di gestire lo straordinario risultato ottenuto.
Il destino però conosce percorsi imprevedibili. E nel libro delle stelle è evidentemente scritto che quella debba essere anche la serata di Dossena.
Minuto 88', Mascherano si ritrova sulla fascia destra in zona d’attacco. Probabilmente il primo pensiero sarebbe quello di andare vicino la bandierina, per portare a casa qualcosa. Ma quando l’argentino alza la testa si accorge che dalla fascia opposta sta arrivando una freccia con i capelli rasati e la maglia numero due: E’ ANDREA! Passaggio perfetto dello Jefecito, Dossena allarga il piatto sinistro e deposita alle spalle di Casillas. 4 a 0.
Anfield in visibilio. Ad Andrea probabilmente passa davanti agli occhi tutta la vita. E chissà se, almeno per un momento, avrà mai pensato: “Ce l’ho fatta!”.
Neanche il tempo di festeggiare la meritata qualificazione in Champions League che per i Reds è tempo di tornare in campo in Premier League, quattro giorni dopo, appunto. E non in una partita qualsiasi.
Dopo il Real, lo United
Manchester United – Liverpool. Probabilmente, insieme al derby Boca-River e al Clasico Real- Barcellona, la partita più bella della storia del calcio.
Il copione non cambia. Reds devastanti. United in vantaggio con un rigore di Cristiano Ronaldo, ma surclassati poi dall’uragano-Liverpool. Ancora Torres e Gerrard, sempre loro. Poi pure Fabio Aurelio, con un sublime sinistro su punizione. Sir Alex Ferguson basito in panchina, a consumare l’ennesima chewing gum.
Al minuto 92 un profondissimo, e all’apparenza innocuo, rinvio di Pepe Reina attraversa tutto il campo, senza che né i frastornati difensori locali né Babel riescano a controllarlo. Come se seguisse una traiettoria tracciata da una invisibile ma ispiratissima penna, la palla capita coi rimbalzi giusti sul piede sinistro di Andrea, che nel frattempo, con uno scatto portentoso è riuscito a seminare O’Shea.
Più che un tocco, un bacio d’amore al pallone. Pallonetto. I 198 centimetri di Edwin Van Der Saar assistono impotenti.
Gol. 4 a 1. Ancora lui, ancora Dossena.
Mazzarri prima del ritorno nella terra d’Albione
La carriera del lodigiano proseguirà, tra gli anni con Mazzarri al Napoli in Seria A al ritorno Oltremanica, questa volta con le maglie di Sunderland e Leyton Orient. Fino al 2017, quando dopo un pugno di presenze col Piacenza decide di appendere gli scarpini e di dedicarsi al mestiere di allenatore.
Nulla però avrà più il sapore di magico di quei giorni di marzo. Con quella sensazione che solo chi sa di avercela fatta riesce a provare sulla pelle.
Eh già! Forse quattro giorni bastano e avanzano, se non per cambiarti la vita, ma sicuramente per farti capire che il lavoro e il sacrificio pagano. Sempre.