Alan Shearer, Walking in a Shearer wonderland
Pioggia, campo infangato, partita tesa. Palla gettata in area di rigore, rete che si gonfia e un tozzo ragazzo biondo che esulta alzando la mano e prendendosi l’affetto della propria gente.
Per molto tempo, a partire dai primi anni ’90, questa scena in Inghilterra è stata un classico. A Newcastle, Southampton e Blackburn in particolare, ma in realtà in tutto il Regno.
È la legge di Alan Shearer. L’attaccante che ha demonizzato le difese di tutta la Premier League.
Miglior marcatore di sempre, autore del maggior numero di triplette, unico in grado di mettere a segno 5 reti in una sola partita.
In poche parole: il suddito più prolifico che la Regina abbia mai avuto.
La miopia del Newcastle
Cresciuto in un quartiere operaio, figlio di padre omonimo che lo inizia al golf. Salvo scoprire ben presto che gli occhi del suo figliolo si illuminano solo quando lo porta al St. James’s Park a vedere il Newcastle.
Inizia allora a calciare la palla con i gialloverdi del Wallsend Boys Club, la squadra di un circolo ricreativo della città di Newcastle. Col sogno di vestire un giorno quei colori, il bianconero dei Magpies. Di diventarne l’attaccante titolare e, chi lo sa, di regalare alla sua gente il primo titolo di Campione d’Inghilterra.
Ma evidentemente la rete di osservatori dei Toons in quegli anni non deve aver brillato per efficacia. Dal momento che consentono al Southampton di portarselo via, nella propria Academy, quando Alan ha solo 15 anni.
“ Ha una forma fisica abbastanza rotonda, è dinoccolato, talvolta brutto da vedere. Non partecipa chissà quanto alla manovra, è piuttosto anarchico nei movimenti offensivi. Ma ha due qualità: ha le palle e sa fare gol. E nel calcio, a volte, basta quello”
Il manager dei Saints Chris Nicholl non ha dubbi: “Per me è sì”.
All’improvviso un cannoniere
Debutto in Premier contro il Chelsea, nel marzo 1988, da minorenne. Giusto per ambientarsi e sentire che aria tira.
Esordio da titolare ad aprile, contro l’Arsenal (mica la Puzzonese). Risultato devastante: tripletta. Jimmy Greaves impreca, vedendo il suo record di “giocatore più giovane a realizzare un hattrick” sgretolarsi.
Le sopracciglia degli addetti ai lavori si inarcano: sarà il caso di tenerlo d’occhio questo Alan Shearer. Perché se le premesse sono queste farà molto parlare di sé.
Kenny Dalglish, uno che di mentalità vincente se ne intende, sbaraglia la concorrenza e lo porta a Blackburn. Lo voleva lo United, ma il coach ex Liverpool è un from zero to hero, proprio come Shearer. E in Alan ha saputo toccare le corde giuste.
La prima stagione coi Rovers non sarebbe propriamente memorabile, visto che a metà si spappola il crociato e deve operarsi. Ma andate a dare un’occhiata al suo score pre-infortunio: ci leggerete la fantascientifica cifra di 16 gol in 21 partite.
Shearer: l’oro di Blackburn. La SAS
Altro che dal mattino, il buongiorno lo si vede già dalla mezzanotte.
Recuperata la fruibilità del ginocchio, Shearer conduce il Blackburn Rovers al secondo posto nella stagione 93-94, buttandola dentro per 31 volte.
L’anno dopo accoglie al proprio fianco un altro fenomeno come Chris Sutton. La SAS (Shearer And Sutton) seminerà il panico in tutta la Premier League, e i due saranno ricercati manco fossero Robin Hood e Little John.
Il Blackburn si porta a casa un titolo memorabile. Alan lo festeggia a suo modo: se ne torna a casa per ridipingere la staccionata.
Come si può non amarlo?
Dalglish calling
Lo score di questi tre anni con il Blackburn già sarebbe più che sufficiente per strappare un contrattone in una grande d’Inghilterra o d’Europa. Se ci aggiungiamo un ultimo anno coi Rovers da 31 gol in 35 partite il suo approdo nel gotha del football pare debba avvenire per acclamazione.
Stava effettivamente per essere così. Perché a Sir Alex Ferguson i “no” non sono mai andati giù. Ci riprova a portare Shearer ad Old Trafford, e a momenti ci riesce.
Ma poi succede qualcosa.
A casa di Alan squilla il telefono. È Kenny Dalglish, proprio lui.
“Ehi Alan, sai che c’è? Ho trovato una nuova squadra da allenare. Andrò a casa tua, al Newcastle. Che ne dici di venire qui e di riprovarci? Ti andrebbe di regalare un sogno alla tua gente?”
Probabilmente Sir Kenny non deve aver nemmeno avuto il tempo di finire la frase. Se fossimo in un film la scena dopo vedrebbe la cornetta ancora penzolante, e si sentirebbe il campanello di casa Dalglish suonare.
Finalmente a casa
15 milioni di sterline. All’epoca, soprattutto per un club non di primissimo pelo, una follia.
Ma ci sta. Perché in quella stessa estate, nel frattempo, Shearer è andato ad un passo dal “riportare il calcio a casa”, durante l’Europeo che l’Inghilterra disputa tra le mura amiche. Maledetti tedeschi, sempre loro!
Qualcuno dei media pensa che Alan potrebbe soffrire la pressione di giocare per la sua città, nel suo stadio: lui risponde con 25 gol in 31 partite e la nomina di Calciatore dell’Anno.
Ma qualche intoppo dev’esserci. Anche l’oceano ogni tanto si scontra contro degli ostacoli, salvo poi aggirarli e continuare nel proprio incedere.
Al St. James’s Park arriva ad allenare Ruud Gullit. Fenomenale come giocatore, non altrettanto da allenatore.
Con Alan si scontra subito. Non lo comprende, non capisce che si trova di fronte ad un unicum di giocatore (come cantano i suoi tifosi: There’s only one Alan Shearer, walking along, singing a song, walking in a Shearer Wonderland). Lo vorrebbe più intenso durante gli allenamenti e più disciplinato in partita.
Lo strappo definitivo,con Alan e tutto l’ambiente, avviene quando lo esclude dal sentitissimo derby contro il Sunderland. Newcastle sconfitto e Gullit immediatamente esonerato.
Con l’approdo di quel geniaccio di Bobby Robson l’epopea Shearer ricomincia. Un monopolio, dominio totale.
In bianconero finirà la propria carriera, nel 2006. Quando in fondo al sacco avrà spedito 260 gol in 440 partite, alzando la mano per esultare 206 volte solo con la maglia del suo Newcastle.
Mai nessuno come lui.
Anche in un calcio cambiato, come quello attuale, pare utopico pensare di avvicinarsi a cifre del genere.
L’idea che ci si è fatti è proprio questa: che per vedere un altro 9 inglese con il suo fiuto del gol, la sua abilità nel gioco aereo e, soprattutto, la sua leadership, tocca inesorabilmente mettersi comodi.