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Adebayo Akinfenwa, i sogni di una bestia

Un fisico esagerato quello di Akinfenwa, secondo molti più adatto ad altri sport. Una costante lotta contro i razzisti, che rischiavano di farlo smettere. Ma una fame di calcio che gli ha permesso di andare oltre, fino ad arrivare dove ha sempre bramato di arrivare
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Adebayo Akinfenwa - Illustrazione Tacchetti di Provincia

Gliene hanno sempre dette di tutti i colori.

Che nel calcio non sarebbe mai arrivato da nessuna parte. Che anzi, con quel fisico lì, sproporzionato fin dalla giovane età, era proprio inadatto a quel tipo di sport. A volte addirittura ridicolo, brutto da vedere.

Poi, finito chissà come in Lituania, gli insulti più facili, più gratuiti, più ignobili. Quelli relativi al colore della sua pelle, ereditato dalla nigerianità dei genitori, emigrati poi nel Regno Unito.

Dove sono ora quelli che lo insultavano? Spariti tutti.

Sarà perché ha un fisico da culturista, se non addirittura da wrestler (188 centimetri per 102 chili) che disincentivano a dargli torto, a prescindere dall’argomento.

Sarà perché oramai per tutti è, semplicemente, “La Bestia”

O forse semplicemente perché Adebayo Akinfenwa ha chiuso, la scorsa stagione, una carriera da 742 presenze e 213 gol tra i professionisti.

Attaccante come Barnes

Fuggito da una Lituania dimostratasi molto ostile nei suoi confonti, con saluti nazisti e cori di stampo razziale, Adebayo decide di tornare in quell’Inghilterra che si era dimostrata poco propensa ad aprirgli le porte del proprio calcio.

Quello sport che lui ha sempre sognato di praticare, da quando tifava Liverpool vedendo giocare il suo idolo di sempre, John Barnes. Ed è proprio per questo che vuole fare l’attaccante.

I primi anni sono difficili, con poche presenze e zero reti, ma soprattutto con continui cambi di squadra, alla ricerca di qualcuno disposto davvero a dargli una chance. A vedere in lui un calciatore vero, al di là del suo fisico imponente.

Poi arriva una buona stagione al Torquay United, che gli spalanca le porte di squadre più prestigiose: lo Swansea prima e, soprattutto, il Northampton poi.

Con i Cobblers realizza 71 reti in circa 170 partite. E forse solo nelle Midlands si rende davvero conto di avercela fatta.

Ma per la gloria vera serve anche un pizzico di fortuna. E quella arriva poco dopo.

 

Akinfenwa, la Bestia che spaventa Mourinho

Il 19 luglio 2014 il Chelsea, allenato dallo Special One Josè Mourinho, disputa una partita di pre-season contro il Wimbledon, squadra in qui La Bestia Akinfenwa è appena approdata, a titolo definitivo dal Gillingham.

I Blues vinceranno con molta fatica il friendly match. Calcio di luglio, per carità. Ma il mondo del pallone si meraviglia nel vedere maestri della difesa come John Terry, Gary Cahill e David Luiz in costante difficoltà contro Adebayo.

Lo stesso Mourinho si complimenta con lui, ammettendo che con la sua fisicità anche difensori di calibro internazionale possono andare in crisi.

Fino ad allora, a livello mondiale, era conosciuto più che altro per essere l’unico giocatore, sul famoso videogioco FIFA prodotto dalla EA Sports, ad avere 97 nel valore relativo alla fisicità. Adorato dai gamers di tutto il mondo, che lo acquistano per piazzarlo al centro dell’attacco delle squadre più prestigiose in assoluto.

Ora anche il campo vero ha dimostrato quanto Adebayo sappia essere devastante, se inserito in un contesto che ne esalti le caratteristiche.

Non chiedetegli di aggredire la profondità, di avere cambio di passo o di creare superiorità numerica. Lanciategli la palla addosso, e sarà come averla messa in banca.

20 anni fa, prima dell’era del Tiki Taka e del Guardiolismo, sarebbe senza dubbio arrivato in Premier League. Quando Oltre Manica la palla per terra ci stava gran poco, e la parola d’ordine, per tutte le squadre, era “verticalità”.

Il derby del cuore

Quell’amichevole dà il via a una stagione che la Bestia ricorderà probabilmente per sempre.

Dicembre 2014. Viene sorteggiato il celeberrimo Terzo Turno di Fa Cup. Famoso in tutto il Regno, dal momento che è quello che vede l’entrata in scena delle big del calcio inglese, spesso sorteggiate contro sperdute squadre di periferia.

È il turno in cui i sogni possono diventare realtà. È il momento in cui i tifosi di una qualsiasi squadra di Non-League possono bramare di ritrovarsi ad Anfield piuttosto che a Stamford Bridge o all’Old Trafford.

C’è anche il Wimbledon di Akinfenwa, che ha superato i due turni preliminari precedenti, eliminando York City e Wycombe (la squadra in cui invece chiuderà la carriera).

La pallina del sorteggio viene aperta, il fogliettino ivi contenuto srotolato: LIVERPOOL FOOTBALL CLUB.

È il destino. Una di quelle curve della nostra vita che ti spianano davanti uno scenario da sogno. In questo caso, sfidare la tua squadra del cuore. E stringere la mano al suo giocatore più rappresentativo, il capitano Steven Gerrard.

Il giorno successivo, in spogliatoio, Adebayo minaccia i compagni: “Ragazzi io ve lo dico: vi voglio bene, siamo una famiglia e vi difenderò sempre. Ma il primo di voi che OSA soffiarmi a fine partita la maglia di Gerrard, meglio che inizi ad aver paura. Perché con lui non avrò pietà”.

Il 5 gennaio 2015, al Kingsmeadow, va in scena la partita.

La Bestia Akinfenwa si toglierà pure lo sfizio di segnare al club del suo cuore. Ma il man-of the-match, nonché autore di una doppietta, è proprio Steven Gerrard, Captain Fantastic, che spedisce al turno seguente i ragazzi di Brendan Rodgers.

Per Adebayo una doppia soddisfazione: l’aver sfidato i suoi beniamini in una competizione ufficiale e, ovviamente, la maglia di Stevie G. Che nessuno si è chiaramente sentito di contendergli.

Akinfenwa la bestia a Wembley

I sogni della Bestia trovano poi compimento finale il 30 maggio del 2016.

Il Wimbledon, al termine di una stagione travolgente, riesce a qualificarsi per i play-off che valgono la promozione in League One.

L’eliminazione dell’Accrington Stanley schiude, ai Dons, le porte della finale. Da disputare nel meraviglioso scenario di Wembley. L’impianto, insieme al Maracanà, probabilmente più ambito e sognato del mondo.

Akinfenwa parte in panchina, contro il Plymouth a Londra. E vede il compagno di squadra Lyle Taylor sbloccare la partita.

Poi entra in campo, a 14 primi dalla fine. Per molti, troppo poco tempo per incidere. Ma non per lui.

Che al 90esimo spedisce alle spalle del portiere avversario un calcio di rigore, regalando ai suoi vittoria e promozione.

Dopo il gol la sua gioia è incontenibile. Si becca un giallo inutile, per essersi levato la maglia. Una cosa piuttosto inusuale, nel calcio inglese. Ma andava fatto.

A tutti i presenti e non, ha voluto mostrare quel fisico, che tanti descrivevano come “non idoneo per il gioco del pallone”. A tutti ha voluto mostrare la sua pelle nera, che lo ha costretto a migrare altrove, per non subite i biechi insulti razzisti.

E, siamo sicuri, se li sarà immaginati tutti lì, sugli spalti di Wembley, a vedere il suo gol davanti a 60 mila persone.

Quelli che lo deridevano. Quelli che lo insultavano. Quelli non disposti a dargli neanche mezza chance. Quelli che, semplicemente, dicevano che non ce l’avrebbe mai fatta.

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