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Stephen Makinwa, a capriole verso a Roma

Arrivato in Italia da semisconosciuto, Makinwa ha incantato e convinto tutti, a gol e capriole. Doveva prenderlo l’Inter, finì invece alla Lazio. E la sua carriera si infranse proprio in quello che doveva essere il suo trampolino definitivo.
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Stephen Makinwa - Illustrazione di Tacchetti di Provincia

25 luglio 2005. La Gazzetta dello Sport ha già il titolo per l’apertura del giorno successivo.

“Inter, ecco l’attaccante. Arriva Makinwa!”

Makinwa? Ma chi, quello che faceva le capriole quando segnava, come Martins? Proprio lui.

È fatta, arriva pure la benedizione di Oba Oba, che del connazionale dice: “Siamo cresciuti insieme, sono contento venga qua. E vi dirò che a fare le capriole è molto più bravo lui!”

Sarebbe potuta andare proprio così, quell’estate. Anzi, sarebbe dovuta andare così. Non ci è dato di sapere cosa sia successo dopo, che tipo di valutazioni abbia fatto l’Inter, se si sia trattato di un ripensamento oppure non si sia trovato l’accordo con Genoa e Atalanta, che ne detenevano il cartellino in comproprietà.

E non chiedete al diretto interessato, perché ne sa quanto noi.

Sta di fatto che a San Siro Stephen Ayodele Makinwa ci giocherà solo da avversario. Perché un paio di settimane dopo firmerà per il Palermo. E in Sicilia inizierà la sua rincorsa al sogno di giocare e segnare nelle massime competizioni europee.

Makinwa e l’allegra brigata nigeriana di Reggio Emilia

A portare in Italia questo ragazzo nigeriano, nel 2000, è la Reggiana, precipitata all’epoca nella bassa serie C2, alle soglie del dilettantismo.

Il presidente Dal Cin decide che c’è bisogno di forze fresche, e porta in Emilia una pattuglia di ragazzi nigeriani, visionati chissà dove, forse in qualche vhs, forse in qualche torneo giovanile.

C’è Martins Oladipupo, attaccante, che se ne andrà dopo solo una stagione, e finirà disperso tra i campionati serbi e austriaci.

C’è Adewale Dauda Wahab, centrocampista. Inizialmente è lui la vera promessa. Esordisce e passa quasi subito alla Roma, che lo manda qua e là a farsi le ossa. Pochi anni dopo i giallorossi decidono di disfarsene, e lui chiuderà la carriera in Svizzera ad appena 28 anni.

C’è Mathew Olorunleke, difensore. Lui non se ne andrà, ma in Italia avrà poca fortuna e galleggerà quasi sempre tra i professionisti e i dilettanti.

Già che c’è Dal Cin richiama pure Prince Ikpe Ekong, anche lui difensore, che a Reggio c’era già da qualche anno, ma che il club aveva mandato sempre in prestito in giro per l’Europa e non solo.

E poi c’è, appunto, Stephen Ayodele Makinwa.

Per lui la storia è completamente diversa. Il prestito iniziale in Veneto, al Conegliano, lascia inizialmente pensare che anche la sua sarà la storia di una meteora. Ma non è così.

Makinwa giocherà, e segnerà, in serie A. E non solo: giocherà pure in Coppa Uefa, in Champions League e una ventina di volte con la maglia della propria nazionale.

Il primo incontro con Delio

Come in tutte le storie di calcio e non solo, c’è un momento spartiacque. Nel nostro caso questo ha una data e un luogo ben preciso. Il 5 dicembre 2005, e siamo a Bergamo.

L’Atalanta ha appena perso, di nuovo, a Palermo. 1 a 0. Il club decide, dato il disastroso andamento, per l’inevitabile esonero del tecnico Andrea Mandorlini, e chiama sulla panchina orobica Delio Rossi. 

A lui il compito di tentare di salvare una squadra che, nell’imminente mercato di riparazione, si proverà a rinforzare.

Dalla Lazio arriva in prestito secco proprio Makinwa, che nelle idee dovrebbe alternarsi o fare coppia in attacco con il titolare Budan.

Con Delio in panchina l’Atalanta fa 28 punti in 24 partite. Makinwa, in 17 presenze, gli fa 6 gol.

L’impresa salvezza non riesce. Ma il mister si annota nel taccuino il nome di questo attaccante nigeriano. Si sa mai, magari un giorno…

Makinwa a capriole verso Roma

I due, in effetti, si riabbracciano un anno dopo. Rossi ha convinto Lotito, impresa non semplice, a sborsare 3 milioni e rotti di euro per acquistarlo dal Palermo.

Nell’idea tattica del mister riminese Makinwa, attaccante potente e fisicamente molto prestante, abilissimo nell’attaccare la profondità, sarà il terzo lì davanti, subito dietro gli insostituibili Pandev e capitan Rocchi. Perché può giocare al posto sia dell’uno che dell’altro.

Oltretutto Makinwa porta anche un minimo di esperienza di calcio internazionale, in una squadra che ne ha ben poca, visto che da qualche anno è regolarmente nel giro della nazionale nigeriana e che, con il Palermo, ha avuto l’occasione di giocare anche, con discreto successo, la Coppa Uefa. E il tutto tornerà utile l’anno successivo, quando la Lazio, qualificatasi per la Coppa dei Campioni, si ritroverà in un girone parecchio ostico, accoppiata con Olympiakos, Werder Brema e sua Maestà il Real Madrid.

La realtà sarà purtoppo ben diversa. 

Makinwa di spazio ne trova pochissimo, e finisce rapidamente in un vortice di continui prestiti, che lo portano prima a Reggio Calabria, poi al Chievo e infine pure in Grecia, nel Larissa. Tutti infruttuosi.

Lo smarrimento e il salvagente di Gigi

È come se si fosse rotto un incantesimo. È come se quello sgusciante attaccante ammirato a Bergamo e a Palermo si fosse smarrito. 

I tifosi della Lazio cominciano a spazientirsi. Nelle serate estive in cui viene presentata la squadra per la nuova stagione, appena viene pronunciato il suo nome cominciano a levarsi fischi e mugugni di contestazione. Di questa cosa, si saprà poi, Stephen ne soffrirà terribilmente.

Quando la testa non c’è anche il fisico ne risente. È la storia dello sport, è sempre stato così. Makinwa comincia ad accusare una serie infinita di problemi fisici, che ne limitano e compromettono una possibile ripartenza.

A offrirgli una parziale occasione di rilancio è Gianluigi Buffon, il portierone della Juve diventato, nel contempo, proprietario della Carrarese, il club di casa. Convince Makinwa a scendere in Lega Pro, per rilanciarsi con la maglia dei marmiferi.

Per metà stagione Stephen fa molto bene, 6 gol in 13 presenze, quasi mezzo gol a partita. Ma a gennaio accetta una ricca offerta proveniente dalla Cina e si trasferisce a Pechino, sparendo, di fatto, dai radar del calcio, italiano e non solo (salvo un’ultima annata in Slovenia, con il Gorica).

Un vero peccato. La sua storia ci racconta di quanto effimeri siano i momenti di gloria e di successo in uno sport a volte impietoso come il calcio. Troppe variabili intervengono a minare un percorso all’apparenza ben avviato. Scelte sbagliate, infortuni, a volte anche colpe di altri, sulle quali non si ha potere decisionale.

Oggi Stephen Makinwa nel calcio ci è tornato, da procuratore. Vive ancora a Roma, nonostante le esperienze in biancoceleste non siano state indimenticabili. Non rinnega un minuto della sua carriera, chi lo sente parlare non troverà alcuna parola di rancore nei confronti di questo piuttosto che quel club o persona.

Anche queste sono le cose che rendono un atleta un campione.

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