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Javier Saviola, il coniglio nel cilindro

Da Monumental a Monumental. Nel mezzo, la carriera europea in costante involuzione quella di Javier Saviola, che poteva essere una delle più grandi stelle della storia del calcio e che, invece, ha brillato ed è sparita troppo presto, come una cometa.
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Javier Saviola - Illustrazione di Tacchetti di Provincia

Immaginiamo per un attimo di tornare bambini e ritrovarci ad una bella festa di compleanno. È primavera e, per l’occasione, il giardino di una deliziosa villetta è stato tutto agghindato. I genitori del festeggiato hanno addirittura ingaggiato un mago prestigiatore che con sé ha portato ogni tipo di “attrezzo del mestiere”. Tra questi, al suo arrivo, non è passata inosservata una gabbietta metallica e il candido batuffolo di pelo al suo interno. Un piccolo, meraviglioso, dolcissimo coniglietto bianco con gli occhietti azzurri. Il suo nome è Javier. 

Piccolo spoiler…tra il dispiacere generale, quel coniglio tradirà le aspettative di tutti i bambini invitati alla festa, e non salterà mai fuori dal cilindro del mago.

Saviola, Sangue River

Se dovessimo trovare la location perfetta per questa famigerata festa di compleanno, sarebbe Belgrano, barrio settentrionale della capitale argentina, Buenos Aires. 

Javier (El Conejo) Saviola nasce lì, nel dicembre 1981, in una delle tante eclettiche villette in stile art déco di quello che è uno dei quartieri più benestanti della capitale. 

Baires e calcio sono una cosa sola e, tra i tanti derby della città, ce n’è uno leggerissimamente (pronunciato alla Fantozzi) famoso e sentito. Che lo dico a fare…: i genovesi del Boca contro Los Millonarios del River, in principio faida di quartiere (quello popolare e portuale: La Boca), diventata poi rivalità mondiale tra classi sociali quando gli arricchiti in maglia biancorossa decisero di trasferirsi a Núñez, altro quartiere chic, ad un tiro di schioppo da Belgrano.

Insomma, il River è nel sangue e nel destino di quel ragazzo che a 5 anni vive, naturalmente da spettatore, il trionfo mondiale dell’Argentina targata Diego Armando Maradona a Messico ‘86.

Dopo la lunga trafila delle giovanili , sempre e solo con quella maglia bianca barrata in rosso, nel 1998, a soli 16 anni, arriva l’esordio.

Saviola, il Nuovo Diego

L’anno successivo Javier è già eletto come “giocatore sudamericano dell’anno” ed è protagonista della conquista del torneo di Apertura e di quello di Clausura con il suo River. Un giovane con quei numeri e quella prospettiva in Argentina non si vedeva da molti anni. Molti ipotizzano che proprio lui possa essere l’erede di quel Diego Armando che aveva sollevato la seconda Coppa del Mondo della storia albiceleste nel 1986. 

Chiamato “El Conejo” per le sue caratteristiche e il suo stile di gioco. È piccolo, leggero, scattante. Un attaccante prolifico. Bomber, ma anche seconda punta, 10 e trequartista. Eclettico ed imprevedibile e capace di trovare la porta da qualsiasi posizione.

“Coniglio”, dunque, per alcuni non basta. Nel 2001 il Barcellona bussa alla porta del River e con circa 15 milioni strappa il prodigio argentino alla casa madre. La stampa spagnola ci mette poco a ribattezzarlo niente meno che “El Pibito”, proprio a paragonarlo con “El Pibe de Oro”.

Se, in generale, le etichette di “nuovo …” sono sempre tossiche e controproducenti per le carriere dei giovani talenti, questo pare il caso contrario. Già, pare…

In blaugrana, Saviola si ambienta abbastanza rapidamente e comincia a fare ciò che gli viene meglio: segnare.

Carles Rexach, Van Gaal, Radomir Anti e infine Frank Rijkaard sono i maghi con il dovere di estrarre il coniglio dal cilindro. 

Missione compiuta? Non proprio.

Il talento fenomenale che Maradona stesso aveva segnalato come proprio erede e che Pelé aveva inserito nel FIFA100 (lista dei 125 migliori calciatori viventi stilata nel 2004) stenta ad esplodere e, a Barcellona, sempre più spesso si ritrova a doversi accomodare in panchina, nonostante i 44 centri in 105 presenze.

Lento declino

Insomma, l’avete capito. Saviola scarso non è mai stato. Questo è poco ma sicuro. Ma da uno che a 18 anni in Argentina segna un gol ogni due partite dimostrandosi di gran lunga il più talentuoso dei mitici “ Los Cuatro Fantasticos” (Saviola, Pablo Aimar, Ariel Ortega e Juan Pablo Angel), che arriva con tali premesse in Europa e che, come prima esperienza nel vecchio continente, veste la maglia del Barça, ci si aspetta ben di più.

Ai margini del progetto catalano, nel 2004 inizia un interminabile giro di squadre e campionati. Prestato al Monaco, poi al Siviglia e infine tornato a Barcellona fino alla scadenza del contratto. A parametro zero finisce addirittura per essere messo sotto contratto per quattro anni dal Real Madrid. Bene!, direte voi…e invece no. La camiseta blanca la veste ben poco. Mr Schuster non lo vede. Dopo appena 5 gol in 28 partite in due anni e l’arrivo a Madrid di Klaas-Jan Huntelaar, è ora fare le valigie e togliere il disturbo.

Destinazione: Benfica.

In Portogallo per tre anni si rivedono sprazzi di quel golden boy che aveva incantato tutti in gioventù. Il letale tandem d’attacco formato con il paraguaiano Luis Cardozo è di quelli storici e regala il titolo di campioni lusitani alla squadra di Lisbona nel 2010.

24 reti in tre anni, però, non sono abbastanza per convincere il mondo di poter ancora essere all’altezza di quelle straordinarie premesse di inizio carriera.

Gli ultimi quattro anni prima del ritiro, Saviola li gioca in maniera sempre meno brillante con quattro casacche diverse. Una per stagione: Malaga, Olympiakos, Hellas Verona e River Plate, ritorno tutt’altro che trionfale. È un lento ma inesorabile declino di un mancato fenomeno che conclude la sua vita calcistica con un misero gol in Serie A per i veneti, contro l’Atalanta, e zero al ritorno in patria.

Il coniglio è uscito dalla gabbia, ma si è perso. Non c’è stata magia e nel cilindro del prestigiatore rimangono solo i rimpianti per un fenomeno mancato.

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