Faustino Asprilla, mille volti un solo Tino
“Volante 41 42, è richiesto un intervento urgente in periferia. I vicini segnalano musica alta e schiamazzi in piena notte. Intervenite subito”
“Ricevuto centrale, ci andiamo noi”
Qualche minuto dopo due volanti suoneranno al campanello di un villino, al cui interno i carabinieri troveranno un po’ di tutto: musica a palla (alle 4 di una notte di metà settimana), fiumi di alcol, donne procaci e forse anche qualcos’altro.
Sembra l’inizio di una qualsiasi serie poliziesca. Invece questa scena era abbastanza all’ordine del giorno, a inizio anni ’90, in quel di Parma.
Perché in Emilia, come fiore all’occhiello di una squadra, allenata dal maestro Nevio Scala, è arrivato un fenomeno, direttamente dalla Colombia.
Si chiama Faustino Hernan Asprilla Hinestroza. Ma per la storia del gioco sarà per sempre, semplicemente, Tino.
Mille gol per cento rubinetti
Eh sì che a Parma avrebbero dovuto capirlo subito, di non aver preso un giocatore qualunque. Dato che, al momento del suo approdo, nella città di Giuseppe Verdi, la prima cosa che fece, non si sa bene perché, fu comprare 100, CENTO, rubinetti. Da spedire in Colombia.
Un atleta atipico: non altissimo, dall’andatura barcollante, tipo un ubriaco che cerca la strada di casa, dalle gambe lunghissime. E i più maliziosi ricorderanno anche le leggende (confermate) che giravano su un terzo arto. Ma va beh…
Tanto stravagante fuori dal campo quanto determinante dentro.
Suo il gol, su punizione, che interruppe l’imbattibilità del Milan di Sacchi, che da 58 gare non conosceva sconfitta. Sua la doppietta all’Atletico di Madrid nella semifinale di Coppa delle Coppe del 1993, davanti a un allibito Vicente Calderon. Sua un’altra storica doppietta, al Monumental di Buenos Aires, all’Argentina con la maglia della Colombia, nella partita che fece pensare a un certo Pelè che i Cafeteros sarebbero stati competitivi per la vittoria a USA 94. Ai tempi della militanza in Inghilterra si permise addirittura di schiaffeggiare il Barcellona al Camp Nou con una tripletta. E sapete chi ci riuscirà dopo di lui? Shevchenko prima e Kylian Mbappè molto dopo. Così. Per dire.
Il Parma dei miracoli
A Parma Tino è nella storia. Perché ha dato spettacolo, perché ha fatto un sacco di gol (e conseguentemente tante capriole, sua tipica esultanza) e perché ha fatto parte di due gruppi di uomini straordinari.
Dapprima, come detto, nel Parma di Nevio Scala. Lui e Alessandro Melli parevano essere cresciuti calcisticamente insieme, da come si intendevano. I ducali erano una vera macchina da guerra.
Pochi anni dopo essere saliti dalla B si portarono a casa una Coppa delle Coppe (senza Asprilla, causa un taglio profondo al polpaccio accusato in Colombia per non meglio precisati motivi), una Supercoppa Uefa e una Coppa Uefa, vinta contro gli odiati rivale della Juventus in un clamoroso derby italiano. Che tempi!
Successivamente Tino partecipò, anche se come attore non protagonista, causa incomprensioni con Malesani e implosione contemporanea di un altro fenomeno di nome Hernan Crespo, al secondo Parma dei miracoli. Quello delle “3 coppe in 100 giorni”. Ultima squadra italiana a sollevare una Coppa Uefa, o Europa League che dir si voglia, al cielo (“dighelo Monica, cazo…” cit.).
Prima: valanghe di gol con l’Atletico Nacional di Pablo Escobar.
In mezzo: un’esperienza non felicissima al Newcastle, che iniziò subito male, con problemi fisici a delle visite mediche non superate brillantemente (in altre parole: positività alla cocaina).
Dopo: altri gol e altri viaggi, in un giocatore troppo spirito libero per poter essere un giocatore così longevo a livello di continuità
Born to be Tino
Lungo la strada, tanti altri volti di Tino. Che lui mai ha rinnegato e mai rinnegherà.
Da quella volta che litigò con Chilavert in maniera così furibonda da ritrovarsi di fronte un narcos colombiano disposto a far fuori il portiere cileno. Ma Tino disse no: quello che succede in campo resta in campo.
A quella volta che lo trovarono con due pistole all’interno della propria auto, anche se lui negò di esserne il reale possessore.
Era invece tutto suo il fucile con cui sparò due colpi in aria ai tempi della sua militanza all’Universidad de Chile, per intimorire e spronare i propri compagni, rei di impegnarsi troppo poco in allenamento.
Anche se il suo vizio peggiore sono sempre state le belle donne. Una ossessione, quasi una malattia.
Ne ha avute a frotte. Ne ha desiderate di più.
Ci risulta esista ancora, in Colombia, una marca di preservativi che porta il suo nome: Tino. Durante la pandemia all’interno di ogni pacchetto ne ha fatto inserire uno in omaggio. Il suo promo di lancio: “aiutatemi a finirli, perché da solo non ce la faccio”.
E pensare che, oltre che in campo, abbiamo rischiato di vederlo in spettacoli di ben altro spessore, ma la vita da attore pornografico a lui non piaceva proprio.
Tino va in montagna?
L’ultima volta su un rettangolo di gioco è stata nel 2004, quando decise di dare una mano a un vecchi amico dei tempi di Parma, il Sindaco Marco Osio, che nel contempo allenava in Valle D’Aosta. Qualche allenamento, problemi col tesseramento e non se ne fece nulla. Anche se vedere Tino all’ombra del Monte Bianco sarebbe stata magia pura.
Oggi Tino è sempre Tino. Perché lo ripetiamo, non ha mai rinnegato mezza virgola di quanto fatto in carriera. Tornasse indietro rifarebbe tutto: rifarebbe gli stessi gol, riberrebbe gli stessi bicchieri, ricascherebbe tra le braccia delle stesse donne.
E a noi non resta che amarlo così com’è e come è sempre stato. Tino. Il polpo (ricordate il discorso sugli arti lunghi? Ecco).
Anche se, porterà pazienza, ma a distanza di anni a quella domanda non siamo ancora riusciti a trovare una risposta:
Ma perché quei 100 rubinetti?