Andrés D'Alessandro, El Cabezon incompiuto
Chiamatelo Cabezón, Andrés Nicolás D’Alessandro, o ancora fidatevi delle parole di Pelè e Diego Armando Maradona.
Poco lucido, evidentemente, perché il gioiellino nato a La Paternal – Buenos Aires – ma con passaporto anche brasiliano, non ha brillato come tutti si aspettavano, Maradona compreso.
Eppure da giovanissimo, ai tempi del River Plate, aveva qualcosa in più degli altri: tecnica, mancino educatissimo, intelligenza sopra la media. È diventato famoso per una giocata in particolare: La Boba. Ossia, nello specifico, utilizzare la suola e spostare leggermente la palla in una direzione ripartendo rapidamente nella direzione opposta.
Idolo del Monumental con la maglia del River Plate addosso, funambolo all’Internacional di Porto Alegre, dove sarà ricordato per sempre. Ma giocatore qualunque in Europa, che non ha mai lasciato il segno perdendosi nell’oblio.
El Cabezon in Europa
Il classico segno del destino capita nel 2002, quando la Juventus di Moggi sembra davvero a un passo dall’acquistarlo: trattativa serrata col River e poi… . Poi? D’Alessandro va al Wolfsburg in Germania, finendo nel dimenticatoio, perdendosi via tra Portsmouth e Saragozza.
D'Alessandro e la nazionale
La delusione più grande della sua carriera gliela regala proprio Maradona, in occasione dei Mondiali in Sudafrica nel 2010.
“Non ti convoco”, e lacrime amare per il talentino argentino che stava vivendo uno dei suoi momenti di forma migliori, soprattutto dopo la vittoria in Libertadores. Qualche male lingua disse che era colpa suo fratello, che aveva una relazione con una delle figlie di Diego, allora CT dell’Albiceleste.
Con la Nazionale maggiore ha totalizzato appena 9 presenze, una miseria, ma in cambio diventa Re in Brasile con l’Internacional, votato secondo miglior giocatore della storia colorada dietro un momento di nome Paulo Roberto Falcão.
Talmente amato che anche gli avversari volevano farsi un selfie con lui. Andrés Nicolás D’Alessandro: il Cabezón più famoso nella storia del calcio.