Vennero, Giocarono, Vinsero
“Stai guardando la tv Peter? Hai sentito?”
“No mister, ero in piscina. Ma mi hanno raccontato. Brutta storia. Tocca a noi ora, vero?”
“Sì, tocca a noi. Abbiamo solo 10 giorni”
“Preparo le valigie allora. Ma, mister… ce la faremo? A non fare la figura dei biscottai?”
“Faremo molto di più Peter, credimi!”
Da un capo del telefono c’è Peter Schmeichel. Portiere, potente ed esplosivo, da un anno passato al glorioso Manchester United.
Dall’altro c’è Richard Moller Nielsen. Ex tecnico dell’under 21 e della selezione nazionale di calcio a 5, divenuto due anni prima commissario tecnico della Danimarca. Malvisto dalla federazione, che gli ha assegnato il ruolo per mancanza di alternative. Osteggiato dalla stampa locale, ed è un eufemismo.
Inizia così, con una telefonata, una delle più belle favole che il calcio ricordi.
Quella della Danimarca e del clamoroso Europeo di Svezia ’92.
Gli antefatti: niente Jugoslavia, niente Miki Laudrup
Antefatto numero 1. Fondamentale.
La Danimarca a quell’Europeo non ci doveva partecipare. Al termine di un girone piuttosto agonico, colmo di risultati e prestazioni deludenti, si è infatti classificata al secondo posto nel Gruppo 4. Alle spalle della Jugoslavia di Savicevic, Boban, Boksic e Suker. Il “Brasile d’Europa”.
Ma nei Balcani la situazione ribolle. Tito non c’è più, e senza di lui è impossibile tenere insieme, giunti e uniti, popoli così diversi. In tutto. E la guerra deflagra. Costringendo la Fifa a estromettere la selezione di Ivica Osim e a ripescare la Danimarca, ossia la seconda di quel girone.
Antefatto numero 2. Non di poco conto.
Alla rassegna europea Richard Moller Nielsen dovrà fare a meno di colui che, in quegli anni e forse ancora adesso, è il miglior calciatore danese in circolazione: Michael Laudrup. Miki infatti non si rispecchia nel dettame tattico del c.t., che, secondo lui, lo priva degli spazi necessari a sprigionare la sua fantasia, relegandolo in un sistema eccessivamente rinunciatario e difensivista. Così dice no, lui in Nazionale non ci andrà più.
Il fratello Brian stava per seguirlo in questa decisione, salvo poi ravvedersi all’ultimo. Lui dice per amor patrio, i maligni dicono che lo fa perché ha necessità di trovarsi una squadra, dopo la fine della sua avventura a Monaco di Baviera, e vuole dunque sfruttare una vetrina così importante.
Poco male. Brian sale sull’aereo insieme al resto della squadra e al discusso commissario tecnico, la Danimarca attraversa il Kattegat e va a disputare l’Europeo del 1992.
Obiettivo: non fare la figura dei biscottai.
Fiducia di tifosi e media locali: prossima allo zero.
Ci sono in pratica tutti i presupposti perché si possa assistere a una meravigliosa storia di calcio.
Tanto Schmeichel, poco Laudrup. Ma si avanza.
Fase a gironi.
Danesi bene con l’Inghilterra all’esordio. Lo 0 -0 finale va stretto ai ragazzi di Moller Nielsen, che vanno più volte vicini al gol, e che ringraziano il proprio portierone Schmeichel, il quale puntualmente ricaccia indietro quegli inglesi che lui conosce bene (farà la stessa cosa per tutta la competizione con chiunque cerchi di fargli gol).
Male con gli svedesi, padroni di casa e rivali di sempre. Il gol del parmense Brolin li mette con un piede e mezzo fuori dal torneo.
Serve un impresa con la quotata Francia e una debacle degli inglesi. Avvengono entrambe le cose.
Con i transalpini Larsen segna subito, ma lo spauracchio Papin livella tutto a inizio ripresa. Moller Nielsen allora ha una visione: leva Brian Laudrup, il giocatore più rappresentativo. “Lo vedo stanco”. I tifosi mugugnano. Pare un suicidio organizzato da parte del c.t.. E invece il giocatore subentrato all’11, Lars Elstrup, segna il gol del 2-1 che vale vittoria e qualificazione alla semifinale.
Anche perché a Stoccolma ancora Brolin castiga la nazionale dei 3 Leoni. Il pronostico allora si sovverte: Svezia e Danimarca avanti, Francia e Inghilterra a braccetto a casa.
Un uomo in più
L’avversaria della Danske Dynamite in semifinale fa letteralmente paura: Olanda.
In panchina negli Orange c’è Rinus Michels: il geniaccio che ha rivoluzionato il calcio. In campo c’è il tridente dei tulipani del Milan, che a livello di club sta facendo il bello e il cattivo tempo (Rijkard, Gullit e soprattutto Van Basten); ci sono giovani forti in rampa di lancio, come Winter, De Boer (Frank) e Bergkamp e lupi di mare più navigati come Koeman e Van’t Schip.
Ma la Danimarca non ha paura. Non ha assolutamente nulla da perdere, passando il girone da ripescata il suo Europeo può infatti considerarsi già vinto.
In più, nei giorni precedenti la gara, c’è stato un confronto tra il c.t. e l’indolente Brian Laudrup delle prime partite. Moller Nielsen gli conferma la fiducia e gli concede delle licenze poetiche al suo rigido diktat. E già dai primi allenamenti si vede un Laudrup diverso. Legnoso, perché la condizione è quella che è, ma diverso. Deciso a prendersi sulle spalle la squadra.
D’altronde, sono lui e Schmeichel. Gli altri si potrebbero definire una “squadra operaia”. Di ottima fattura, ma pur sempre operaia. E quando mancano condizione e favori del pronostico, servono le giocate dei grandi campioni.
Olanda domata: è finale!
Và proprio così. Schmeichel para anche le mosche, Laudrup è una serpe nel seno olandese. Larsen (che gioca in serie A nel Pisa) ne mette altri due. Ma non basta.
L’Olanda risponde con due gol, di Bergkamp e Rijkard. Si va ai rigori.
I danesi fanno i danesi. Freddi e lucidi. 5 tiri, 5 gol. Gli Orange vengono traditi dal proprio uomo simbolo, Marco Van Basten. Il suo rigore è parato da Peterone.
Così la Danimarca vola,tanto clamorosamente, quanto meritatamente, alla finale di Goteborg!
Una favola bella fino in fondo
Gli dei del calcio oramai hanno deciso. Questa favola deve concludersi in un trionfo. Il trionfo di un allenatore che nessuno voleva e di una squadra in cui nessuno credeva.
E quando decidono di scrivere una bella storia, gli dei del calcio la ricamano fino in fondo, nel dettaglio.
Capita così che, a Goteborg, contro i soliti dannati tedeschi, a decidere la partita siano John Jensen, detto Faxe, e Kim Vilfort. Due alfieri del centrocampo di Moller Nielsen.
Cos’hanno di particolare?
Beh, Faxe fino a quel momento non è riuscito a segnare neanche usando le mani. Lo stesso c.t. si è più volte lamentato della sua scarsa incisività sottoporta. Ma quella sera scaglia un tiro affilatissimo dalla distanza alle spalle di Illgner, portando avanti i suoi.
La storia di Kim Vilfort, invece, meriterebbe un capitolo a parte. Lui meno di tutti ci doveva essere a quell’europeo. In quanto danese, certo. Ma soprattutto perché in quei giorni sua figlia, la piccola Line, sta combattendo in patria la più dura delle battaglie contro la leucemia. Vilfort salta anche il match con la Francia per starle accanto, ma poi si convince a tornare. Per provare a regalarle quel trofeo.
Chissà se se lo sarebbe mai immaginato che la finale sarebbe stata decisa da un suo gol. Un gol che rende la DANIMARCA CAMPIONE D’EUROPA!
La riscossa dell’incompreso Møller Nielsen
La storia è molto bella,almeno quanto ingenerosa è stata la realtà con Richard Møller Nielsen.
Il C.T. fu in grado di far ricredere tutti gli scettici, applicando il suo credo calcistico, ma sapendo anche correggerlo e limarlo per accontentare i giocatori. Convinse una squadra e una nazione di essere capace di un’impresa difficile persino da immaginare. Creò un gruppo di uomini, prima che di giocatori, in grado di superare tutto: infortuni, esclusioni eccellenti, polemiche, tragedie, scarsa condizione.
Alla fine di quel magico 1992 la Federcalcio danese ebbe il coraggio di non eleggerlo miglior allenatore del Paese. Paradossalmente, qualche giorno dopo, verrà premiato dalla Fifa come miglior allenatore del mondo.
Continuerà a svolgere il suo lavoro fino al 1996, e nel ’95 si toglierà lo sfizio di vincere pure una Confederations Cup.
Volete sapere chi solleverà quest’ultimo trofeo? Michael Laudrup.
Ebbene sì. Richard Møller Nielsen ha fatto ricredere anche lui.
Racconto a cura di Fabio Megiorin