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La vendetta degli ex

L’incredibile cammino del Borussia Dortmund nella Champions League 96-97. Dall’impresa di Manchester alla discussa finale con la Juventus, nel segno di tanti ex pronti a prendersi una beffarda rivincita
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Borussia Dortmund 1997 - Champions League - Illustrazione Tacchetti di Provincia

All’inizio degli anni ’90 il calcio mercato infiamma l’asse Torino-Dortmund. Il Borussia infatti, nel perenne tentativo di imporsi in patria sui rivali di sempre del Bayern Monaco, fa spesa in casa Juventus per rinforzare la propria squadra.

Il primo a passare dal bianconero al giallo nero è Jurghen Kohler, roccioso difensore che la Vecchia Signora aveva a suo tempo prelevato dal Bayern Monaco. Poi è la volta di Andreas Moller, mezzapunta di Francoforte, che torna al Borussia dopo una prima esperienza tra il 1988 e il 1990. Quindi si trasferiscono in Germania anche il difensore brasiliano Julio Cesar e il terzino della nazionale Stefan Reuter, ex Bayern destinato però a scrivere importanti pagine di storia in Vestfalia. Infine, nell’estate del 1996, ecco l’ultimo colpo, con i tedeschi che si assicurano le prestazioni del duttile centrocampista portoghese Paulo Sousa.

In casa Juve non lo sanno ancora, ma si stanno inevitabilmente tirando la più proverbiale delle zappe sui piedi, andando a rinforzare la squadra che, nella finale di Champions League del 1997, farà piangere lacrime amare a Marcello Lippi e ai suoi ragazzi.

Un grande Borussia

Le avvisaglie che si stia per formare un grande Borussia Dortmund si hanno già nella stagione 1992-1993, quando i gialloneri arrivano fino alla finale di Coppa Uefa, finendo sconfitti però nella doppia finale (andata e ritorno) al cospetto, guarda caso, proprio della Juventus, tramortiti dalle reti dei due Baggio, Roberto e Dino.

Nel 1995 la squadra, allenata da Ottmar Hitzfeld, si laurea campione di Germania per la quarta volta nella propria storia, riuscendo anche a ripetersi l’anno successivo, stavolta arrivando al primo posto davanti al Bayern.

La squadra è senza dubbio molto forte. Oltre ai già citati ex bianconeri ci sono elementi di spicco come il portiere Stefan Klos, il centrocampista russo Vladimir But e l’attaccante bavarese Karl-Heinz Riedle, detto Kalle, anche lui già visto nel nostro campionato con la maglia della Lazio. A centrocampo spicca invece il talento del capitano Michael Zorc, uno di quelli che ha deciso di regalare tutta la propria esistenza alla causa del BVB, militandoci ininterrottamente, come giocatore, dal 1981 al 1998, e rimanendoci poi anche in seguito come direttore generale, ruolo abbandonato solo nel 2022.

L’impressione è che però la squadra sia tanto competitiva per spiccare in Bundesliga, dove ora dovrà fare i conti con un’altra vecchia conoscenza del nostro calcio, Giovanni Trapattoni, approdato a Monaco per far tornare a vincere il Bayern, quanto troppo esile per poter ben figurare nelle coppe europee. E in tal senso l’eliminazione ai quarti di finale della neo riformata Champions League della stagione 95-96 viene dai più vista come un risultato tutto sommato soddisfacente.

Per questo motivo l’obiettivo dei gialloneri, alla partenza della Coppa dei Campioni edizione 96-97,è sempre lo stesso. Superare la fase a gironi e cercare poi di avanzare il più possibile, provando a ben figurare e a far acquisire esperienza europea anche ai propri elementi più giovani.

Le favorite

Al momento di stilare la famosa griglia di partenza della oramai prossima Coppa dei Campioni gli addetti ai lavori si accorgono subito che mai come quest’anno ci sarà da divertirsi. In prima fila ovviamente ci sono le italiane: la Juventus, campione in carica; e il Milan, sempre a proprio agio nel contesto europeo. Poi subito sotto ecco l’Ajax del maestro Van Gaal, sconfitta a Roma l’anno precedente solo all’ultimo atto. A rappresentare gli inglesi ecco invece il Manchester United, che con Sir Alex Ferguson alla guida sta per conoscere uno dei più rosei momenti della propria storia ultracentenaria.

Il Borussia è, esattamente come il Porto o il sorprendente Atletico Madrid, considerato solo come possibile outsider. Nessuno, infatti, pensa che i ragazzi di Ottmar Hitzfeld possano effettivamente arrivare sino in fondo.

Passare il turno sì, quello senza dubbio. E in tal senso il Borussia un grosso aiuto lo riceve in sede di sorteggio. Perché nel proprio raggruppamento, il girone B, c’è si l’Atletico Madrid, ma anche i campioni rumeni della Steaua Bucarest e quelli polacchi del Lodz. Due avversari, questi ultimi, che possono essere agilmente saltati via dalla squadra tedesca.

Negli altri gironi Auxerre e Ajax dominano quello di propria competenza, mandano a casa sia il Grasshoppers che i Rangers di Glasgow. Juventus e Manchester United approdano a braccetto al turno successivo, salutando Fenerbahce e Rapid Vienna. Impressionante, in particolare, il cammino dei ragazzi di Lippi, che chiudono imbattuti la fase a gironi e con un solo gol al passivo. Infine, nel gruppo D, avanti sia il Porto che il Rosenborg. Il Milan di Tabarez invece è clamorosamente eliminato, concludendo al terzo posto davanti al solo IFK Goteborg.

Il Dortmund avanza senza troppi problemi. 3 vittorie nelle prime 3 gare, trascinato dai gol dell’ariete Herrlich e dello svizzero Chapuisat, sconfitta al Westfalenstadion contro l’Atletico, pareggio in casa del Lodz e cinquina rifilata alla Steaua, a sancire l’aritmetica qualificazione.

Ai quarti l’Auxerre del leggendario allenatore Guy Roux, per quasi 40 anni alla guida del club della Borgogna, è troppa poca cosa. Il 3-1 all’andata in Germania vale già un’ipoteca per l’ulteriore qualificazione, al ritorno, allo Stade de l’Abbe, ci pensa il giovane Lars Ricken, uno dei migliori talenti che il BVB ha nella propria personalissima rampa di lancio, a chiudere i conti.

L’impresa di Manchester

Con l’approdo alle semifinali inevitabile che qualcuno cominci a credere nella possibile impresa.

Ora però lo scoglio all’orizzonte è davvero imponente, e si chiama Manchester United. I Red Devils sono già in buona parte la corazzata inaffondabile destinata a dominare la Premier League negli anni a venire, con lo stellare centrocampo a 4 formato da Beckham, Keane, Butt e Giggs, tutto rigorosamente homemade. Davanti brilla ancora la stella di Eric Cantona, leader tecnico e capitano, affiancato da quell’Andy Cole capace di vincere, due anni prima, la classifica marcatori del campionato inglese con la maglia del Newcastle.

L’andata si gioca in Germania. Hitzfeld schiera i suoi con il proprio collaudatissimo 3-5-2. Klos in porta, linea a 3 formata da capitan Reuter, Feiersinger e Kree. Ricken ed Heinrich ad arare le corsie, in mezzo Paulo Sousa, Lambert e Moller (con Zorz inizialmente, un po' a sorpresa, in panchina). Davanti, di fianco a Herrlich, gioca Tretschok, attaccante molto generoso ma poco prolifico, complice l’indisponibilità di Riedle e Chapuisat, che non vanno nemmeno in panchina.

Sarà proprio Tretschok, a un quarto d’ora dal termine di una partita molto tirata, a deciderla, sorprendendo Van Der Gouw con un poderoso sinistro dalla distanza.

In casa BVB si inizia davvero a sognare. Prima però bisogna andare a giocare là, nel tempio dell’Old Trafford, quello che già tutti chiamano da tempo “Il Teatro dei Sogni”. Il posto ideale dove misurare le proprie ambizioni di gloria, e capire se davvero si può fare la storia.

La gara si gioca in un umida sera inglese del 23 aprile davanti a 56mila persone. Hitzfeld recupera Kohlerm Riedle e Chapuisat, e relega ancora in panchina capitan Zorc. Lo United cambia modulo, arretrando Cantona dietro le due punte Cole-Solskjaer e alzando a centrocampo il norvegese Johnsen nel ruolo di mediano.

All’ottavo minuto però arriva la doccia gelata per le bellicose ambizioni di rimonta dei Mancunians. Taglio centrale in area di rigore di Ricken che poi, con un autentico colpo da biliardo, la mette all’angolino imprendibile per Van Der Gouw. Da quel momento in poi è un assalto a Fort Apache, con lo United tutto avanti. Il Borussia tiene: Kohler, da terra, salva un gol fatto cancellando la gioia della rete a Cantona. Al resto pensa Klos con le sue parate.

Al triplice fischio il popolo giallonero va in visibilio. Ferguson, all’uscita dal terreno di gioco, ha un sorriso quasi beffardo. Sa di aver fallito, ma probabilmente sa anche di trovarsi di fronte a una delle più belle realtà del calcio europeo. Che ora, per entrare di diritto nei libri di storia, dovrà battere un autentico squadrone chiamato Juventus.

L’epilogo in bianco e nero

Stavolta non si gioca più in doppia sfida, andata e ritorno. Stavolta sarà partita unica, dentro o fuori, con supplementari e rigori in caso di parità.

La finale va in calendario il 28 maggio, e se il fatto che si disputi in Germania per qualcuno può significare un qualche tipo di vantaggio per il Borussia Dortmund, lo scenario si può dire che non sia esattamente il più amichevole per i gialloneri.

Olympiastadion di Monaco di Baviera. Impianto futuristico progettato e ideato negli anni ’70 in vista dell’Olimpiade bavarese, e casa delle due squadre della città, il Bayern e il Monaco 1860.

La Juventus si presenta carica, certa di poter bissare il successo dell’anno precedente ottenuto all’Olimpico contro l’Ajax. I bianconeri, vincitori quello stesso anno anche della Supercoppa UEFA (con tanto di clamoroso 6-1 rifilato al PSG) e della Coppa Intercontinentale, grazie al memorabile gol di Del Piero che fa piangere il River Plate, dopo la brillante fase a gironi hanno fatto più fatica del previsto a superare i norvegesi del Rosenborg ai quarti, prima di ri-battere, in maniera perentoria, il povero Ajax per il secondo anno consecutivo in semifinale: 2-1 in Olanda targato Amoruso-Vieri e sibilante 4-1 a Torino, con i rete ancora Amoruso e Vieri, oltre a Popeye Lombardo e a Zizou Zidane.

Per la finale Lippi non rinuncia alle proprie idee. Si va con Peruzzi in porta, linea difensiva formata da Porrini, Ferrara, Montero e Iuliano. Centrocampo a rombo, con Deschamps vertice basso, affiancato da Jugovic e Di Livio. Zidane dietro le due punte, Boksic e Vieri. Per Del Piero solo panchina, ma la certezza di poter trovare spazio a partita in corso insieme ad Amoruso e Tacchinardi.

Il Dortmund ritrova Sammer, il proprio perno difensivo, che quell’anno si toglierà pure la soddisfazione di vincere un clamoroso, e contestato, Pallone d’Oro. Reuter avanza quindi sulla linea dei centrocampisti, costringendo alla panchina il crack-Ricken, autentico trascinatore e man of the match all’Old Trafford.

Arbitra l’ungherese Puhl, e i favori del pronostico sono inevitabilmente tutti per la Juve.

Pronti via, e ci sono subito polemiche. Jugovic, su traversone dalla destra di Vieri, viene affondato in area. È rigore per tutti tranne che per Puhl, che lascia proseguire. Poi lo stesso Bobogol spreca una ghiotta chance di fronte a Klos. Nel momento migliore dei bianconeri è però il Borussia a passare, quando Riedle, al minuto 29, approfitta di una indecisione dell’intera retroguardia juventina. Manca una vita, c’è tempo per recuperare.

Zidane prova a inventare, ma 5 minuti più tardi la difesa della Juventus si fa un altro sonno su un calcio d’angolo dalla sinistra, e ancora Riedle, stavolta di testa, mette dentro il 2-0. Risultato per qualcuno immeritato, ma tant’è. Nel finale di primo tempo Zidane centra il palo, poi ancora Puhl annulla un gol a Vieri per un presunto fallo di mano.

Al ritorno in campo dopo l’intervallo Lippi si gioca subito la carta Del Piero, lasciando negli spogliatoi Porrini e operando un cambio molto offensivo. La Juve continua a fare la partita, senza però riuscire a trovare il varco giusto. Al minuto 66 Boksic centra un pallone che sembrava perso per Del Piero che, di tacco, trova la deviazione giusta per riaprire la partita. 2-1, e c’è ancora una mezzora scarsa per provare a pareggiare.

Altre proteste per un contatto in area su Del Piero, ma Puhl lascia ancora proseguire. Al 70esimo Hitzfeld manda in campo Ricken, l’uomo del destino, al posto di Chapuisat. E, incredibile ma vero, a deciderla sarà ancora lui. Al primo pallone toccato, riceve un filtrante di Moller, scruta la posizione di Peruzzi e, dai 25 metri, prova un improbabile pallonetto. La palla sfiora la traversa e si insacca in rete. 3-1. Qualcosa di incredibile. Una mazzata, stavolta decisiva, sulle spalle dei ragazzi di Lippi.

Al triplice fischio scatta la festa dei tedeschi, per un risultato incredibile, impensabile. Il 1997 diventa l’anno del Borussia Dortmund, per la prima volta sul tetto d’Europa. Un’impresa che non riuscirà nemmeno, anni dopo, alla Banda dell’Oro di Jurgen Klopp, destinata a fermarsi a Wembley di fronte a Robben e al Bayern Monaco.

Una pagina storica, indelebile, a chiudere una generazione di talenti, capaci tra l’altro, l’anno prima, di trionfare anche nell’Europeo inglese con la maglia della Nazionale. La rivincita di un infornata di ex alla squadra che li ha portati nella nostra Serie A, prima di lasciarli partire per firmare, inconsapevolmente, la propria condanna.

Racconto a cura di Fabio Megiorin

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