Assane Gnoukouri, due nomi un talento
Quella di Assane Demoya Gnoukouri è una storia che va raccontata. Indipendentemente dal fatto che chi la legga sia un appassionato di pallone, perché di un calciatore, ovviamente, stiamo parlando, oppure semplicemente una persona che ha voglia di ascoltare una storia. Vera, più che mai.
È un racconto che, allo stesso tempo, può intristire, scioccare, emozionare e fare riflettere. La storia di un ragazzo qualunque, intento a rincorrere i propri sogni. Prima che un bieco destino, e un losco giro di persone sbagliate, entri su di lui a gamba tesa, molto peggio di quanto avrebbe potuto fare qualsiasi avversario, anche il più efferato.
Perché Assane ora non gioca più. Perché Assane ora non si chiama più nemmeno così. Perché il suo nome, qualunque esso sia, ora rischia di cadere nel più classico dei dimenticatoi.
Insomma, lo ripetiamo: al di là delle reazioni che possa suscitare in chi la sta a sentire, è una storia che va raccontata e, soprattutto, ascoltata. Punto.
Mani vuote
Dove è nato Assane Gnoukouri non c’è niente. O quasi. Persone, tante, forse anche troppe. 130 mila quelle censite nella sola città, più di un milione e mezzo, se si considera l’intero distretto di Goh-Djiboua.
Siamo in Costa d’Avorio. Dove: da un lato nessuno può permettersi un sogno, perché ogni giorno si trasforma in una sfida di sopravvivenza; da un lato sognare è proprio quella cosa che ti spinge a mettere un giorno dopo l’altro, e di andare avanti. Sperando di diventare grande, di sistemare le cose, e, in caso contrario, semplicemente di scappare via.
Assane nasce nel 1996, e come molti altri suoi amici gioca a pallone negli improvvisati campi della propria città. Gioca bene, molto bene. Ma pensare che lo sport possa risolvere i tuoi problemi, lì, equivale a sperare in un 6 al Superenalotto.
I pianeti però, a volte, anche in questo angolo di mondo da molti dimenticato, a volte si allineano. E, per motivi che non ci è dato di conoscere, e non saranno gli unici in questa storia, qualcuno di importante nota le sue qualità. Chissà in che partita, chissà in che contesto. Magari in uno di quei soliti 23 contro 23 che si era soliti giocare da quelle parti, in un campo di terra battuta mista a sabbia poco più lunghi di un campo di calcetto.
Parla con la sua famiglia, perché con lui proprio non si può, tanto giovane è la sua età. “Lo portiamo in Italia” le dicono “lo facciamo andare a scuola e giocare a calcio”.
Se non hai mai avuto le mani veramente vuote non sai quanta voglia si possa avere di fidarsi di chi promette di riempirtele. E mica di soldi con cui comprarsi il Bentley, la vacanza a Ibiza o la serata all’Hollywood. Ma semplicemente per avere il necessario al fine di avere, sopra la testa, un tetto. Non di palme e paglia, ma un tetto come si deve.
Mamma dice sì. Accetta di vederlo partire, forse anche di non riabbracciarlo mai più. E Assane prende il primo volo. Destinazione Europa.
L'Inter in regia
Viene proposto in primis all’Olympique di Marsiglia. Ma appena aprono i suoi fascicoli per il tesseramento i dirigenti francesi lo richiudono subito e rispondono: “Mi dispiace ma non riusciamo”.
Poi Giuseppe Giavardi, detto Beppe, ex giocatore, tra le altre, di Lecco e Novara, con un’esperienza alle spalle da allenatore del Sant’Angelo, e da qualche anno osservatore per conto dell’Inter, convince il Marano a tesserarlo.
Quel club, che l’anno successivo cambierà nome in Alto Vicentino, nient’altro è che l’ennesimo tentativo teso a contrastare l’egemonia provinciale del Vicenza, squadra inarrivabile, per storia, tradizione e passione. Un po' come accaduto a Bergamo, con l’Atalanta e gli esperimenti, più o meno riusciti, Alzano Virescit e Albinoleffe.
Il Marano ha una squadra impegnata nell’Interregionale, ma un ottimo settore giovanile. Tanto da essere entrato nell’orbita dell’Inter, che ne ha fatto una delle proprie “società satellite”.
Nel passaggio di Gnoukouri ai bianconeri c’è dietro, infatti, la regia del club nerazzurro, alla costante ricerca, in tutta Italia, di giovani talenti, meglio ancora, ed è il nome stesso della società a dirlo, se stranieri.
Nella provincia di Vicenza Gnoukouri gioca una dozzina di partite. Quante bastano all’Inter per dire “proviamolo”, e inserirlo nel roster della Primavera allenata da Stefano Vecchi, insieme a talenti come Di Marco, Bonazzoli, Radu e Puscas.
Nel frattempo, Assane, insieme al fratello Wilfred, è stato adottato da una famiglia italiana. È un giovanissimo centrocampista dotato di visione di gioco e, come tutti i calciatori africani, eccellente fisicità. Il futuro sembra decisamente essere dalla sua parte.
Il derby
19 aprile 2015. Nonostante le due squadre di Milano non stiano vivendo, per così dire, il periodo più fulgente della propria nobile storia, la città di Sant’Ambrogio si ferma. C’è il derby. Inter contro Milan, con i nerazzurri che, solo sulla carta, giocano in casa.
L’allenatore del Milan è Filippo Inzaghi, intento a evitare un campionato da anonimato ai rossoneri. Dall’altra parte Roberto Mancini si affida ai gol di Mauro Icardi, nuova folgore della Serie A, che con Rodrigo Palacio forma una coppia d’attacco tutta argentina. A centrocampo, però, ci sono problemi.
Medel e Kovacic ci sono, e da titolari vestono rispettivamente la maglia numero 18 e 10. Mancano tutti gli altri: da Kuzmanovic a Guarin, da Brozovic a M’Vila. Nel terzetto in mediana, dietro al trequartista Hernanes, trova dunque spazio, con la 27, proprio Assane Gnoukouri. Reduce dall’esordio in Serie A, avvenuto appena una settimana prima, al Bentegodi contro il Verona, e che ora, dopo una sola stagione in Primavera, si ritrova titolare di fronte alla Scala Del Calcio.
La stracittadina, quasi fosse una cartolina della stagione delle due milanesi, si concluderà in uno scialbo 0-0. Per Assane 66 minuti di buon livello, prima di lasciare il posto a Joel Obi.
E la sensazione di essere finalmente arrivato a un punto di svolta nella propria carriera. Perché vestire il nerazzurro dell’Inter, forse, può capitarti quasi per caso. Partite titolare in un derby di Milano no, decisamente.
Teatro dell'assurdo
Gnoukouri gioca, quell’anno, un’altra manciata di partite, a volte titolare, a volte dalla panchina.
L’anno successivo viene confermato e aggregato stabilmente in Prima Squadra. Ma il rinnovato centrocampo dell’Inter, con gli arrivi di Kondogbia, Felipe Melo e Ljajic, lo costringono a scaldare per lo più la panchina.
A gennaio 2017, dopo che né Frank De Boer né Stefano Pioli, sono riusciti a creargli un posto per giocare stabilmente, l’Inter ufficializza il suo passato all’Udinese. In prestito, ovviamente, per non correre il rischio di perdersi il talento del centrocampista ivoriano.
I friulani sono una squadra internazionale, che crede ed investe sui giovani. All’apparenza il posto migliore per (ri)cominciare davvero il proprio percorso. Ma proprio lì, in questa terra di confine dove l’Italia, pian piano, cede il passo alla Slovenia, inizia quello che potrebbe tranquillamente essere definito come un vero e proprio calvario.
Le visite mediche con il club della famiglia Pozzo si rivelano ben di più di una semplice formalità. Assane riceve uno stop: qualcosa non va nel suo cuore. E, nell’attesa di capire di cosa si tratti, è bene non proseguire, né con le partite né con gli allenamenti.
Quel giorno Gnoukouri ha appena 21 anni. Un po' presto per vedere frantumarsi i propri sogni. Ma la medicina sportiva italiana, molto più rigida (grazie a Dio) rispetto agli altri movimenti sportivi del mondo, non ha pietà. E in attesa di capire come risolvere la cosa, preferisce tarpargli un’ala, sabotandone a malincuore il volo.
Non basta però. Perché l’altra ala si spezza poco dopo.
Dopo pochi mesi, infatti, viene avvisato di un’indagine giudiziaria che fa entrare la sua vicenda nel “Teatro dell’Assurdo”. Scopre di non chiamarsi Assane Demoya Gnoukouri, ma bensì Alassane Traorè. Scopre di non essere nato nel 1996, ma due anni prima, nel 1994. Scopre che Wilfred non è nemmeno suo fratello, ma, in pratica, un perfetto sconosciuto. E scopre che i soldi dell’Inter, che dovevano, secondo le promesse fatte, finire alla sua vera madre, in realtà non sono mai arrivate.
L’indagine dura il tempo sufficiente per certificare che Assane, o Alassane, è in realtà vittima di questa faccenda. In manette finisce Giovanni Damiano Drago, colui che dall’Africa lo ha portato in Italia. Il ragazzo è finito in un terribile tratta di esseri umani, di tanti ragazzi, come lui, arrivati in Italia per inseguire un sogno.
L’Inter a quel punto è costretta a risolvere anticipatamente il suo contratto, che aveva originariamente scadenza nel 2020, a certificare la fiducia che il club nerazzurro riponeva nelle qualità di questo ragazzo.
Alassane ora è di fatto un immigrato irregolare. Gli verrà rilasciato diverso tempo dopo un permesso di soggiorno con il suo nuovo (vero) nome. Ma il suo sogno ormai sembra andato, svanito nel nulla. E a ciò si aggiunge la ovvia delusione per essersi fidato delle persone sbagliate, di non poter più nemmeno contare su chi, fino all’altro giorno, chiamava “papà”.
Il ragazzo finisce addirittura, letteralmente, in mezzo a una strada, a bivaccare alla stazione centrale di Milano. Prima che in suo aiuto intervenga un connazionale d’eccezione, Frank Kessie, calciatore del Milan che, in qualche modo, riesce a trovargli una sistemazione.
Oggi Alassane ha 28 anni. Ha risolto il problema con la legge e con il cuore, scoprendo di aver contratto un virus, in Africa, che ne aveva momentaneamente danneggiato le pareti. Ma cerca una chance, un’occasione.
Non per comprare un Bentley, fare la bella vita a Ibiza o fare serata all’Hollywood. Ma per “dare una casa a mia madre”. Il sogno è rimasto quello.
È un bravo ragazzo, e merita una chance. Chiunque sia disposto a dargli una possibilità, si faccia avanti ORA.
Racconto a cura di Fabio Megiorin